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Navi di Nemi // Il nucleo eloquente delle cose – di Aiko Almeida 

Navi di Nemi // Il nucleo eloquente delle cose – di Aiko Almeida 

Autore: redazione
pubblicato il 24/02/2023
nella categoria Parole

Briciola in fondo

al cratere, sei tu forse

l’ultima cellula

delle navi di Nemi?

A reliquie e a cocci

il tuo abbandono parlava di là

dalle acque e con labbra di dea.

Segreto risaputo

e divulso, soffiavi immobile

la girandola del mistero.

Finché, solo, gemmò iseo

il tuo bisbiglio in fiamma.

Grumo di fondale, piccola, ti scorgo

a volo d’uccello e sei il perno

diafano di quell’antico mulinello.

- Giancarlo Renna

Incontrai il Museo delle navi di Caligola qualche anno fa, come design reference. Il Morpurgo vi tradusse, con elegantissima modernità, l’Arsenale, ma anche quei docks, di cui James Stirling non si scordò mai e che affascinavano, ancora, i miei insegnanti. Perché la vita di mare, l’acqua e i porti, in fin dei conti vivono, da sempre, della magia di orizzonti infiniti, frustati da braccia ruvide e sole. 

Ma il tipo del museo poco aveva a che fare con alcun porto, trovandosi presso il lago di Nemi, quanto piuttosto con le navi, da cui appunto prende il nome. Ma esse stesse si chiamano navi quasi per errore, sono anche palafitte: templi e palazzi che l’imperatore fece costruire sul lago, nascosti da Roma – in onore di Iside, il cui culto era tradizione di famiglia.

Navi, dunque, immobili. Arenate sul fondale per quasi duemila anni, furono saccheggiate tanto da briganti quanto dagli illustri tentativi dell’Alberti – in questo caso, su richiesta di qualche potente dell’Umanesimo. Recuperate durante il Ventennio, Mussolini le espose come in uno scheletro di balena, sotto i costoloni del Morpurgo. Finché il fuoco della guerra non le raggiunse e bruciarono in un incendio, tanto misterioso quanto la loro lunghissima e penosa parabola.

Mi prese una tale fascinazione per quella storia, che, giunta l’estate, iniziai a frequentare quotidianamente la Caird Library di Greenwich. Notai che, sullo stesso prato - dove anni prima conobbi i futuri amici del liceo, in occasione di un viaggio studio - un uomo strano e alto pranzava insieme a me. Eppure, non pareva essere un lavoratore a riposo. I suoi abiti mi trasmettevano questa sensazione. Uscendo dalla biblioteca lo vedevo spesso, in qualche punto isolato, che indulgeva – come me d’altronde – a una sigaretta, al fresco della sera di giugno. Indossava quasi sempre un lungo cappotto leggero, a scacchi giallo-blu, tale da sembrare un matitone infisso a terra, almeno a uno studente d’architettura come il sottoscritto.

Un giorno lo vidi, al bar del museo, parlare concitato al telefono. Scoprì, con qualche imbarazzo per la mia poca perspicacia, che si trattava di un italiano. Il suo modo di parlare, formale e ricercato, tradiva un’enorme agitazione e, se non proprio pusillanimità, un grande timore del proprio interlocutore. Intuì potesse essere un accademico, forse uno storico interessato a qualche battaglia navale. Fingendo discrezione, andai oltre, ignaro tuttavia che quella figura, ormai simpatica - per quanto estranea, non sarebbe più comparsa in quell’orizzonte, dove i miei occhi abbracciavano, pensierosi, tutta Londra.

Nel frattempo, conclusi le mie preliminari ricerche sulle navi di Nemi – pieno di chi sa quali aspettative, rispetto all’utilità di quegli appunti – e tornai in Italia, con la risoluzione di visitare il museo nei mesi che mi separavano dal mio ritorno in Inghilterra, all’inizio del nuovo anno accademico. Solo allora mi resi conto di aver perso il quadernino nero, che con pazienza avevo riempito di note, schizzi, bozze di tesi, citazioni e direzioni da esplorare.

Disperato, chiamai il lost and found della biblioteca, che mi rassicurò, con mia enorme sorpresa, di avere in custodia un quaderno, intensamente scritto in italiano, a penna nera, con la parola “Nemi” ripetuta più e più volte. Sentivo, prima di questa buona notizia, che mai sarei stato in grado di ripetere quello sforzo, di cui ogni giorno disperdevo il ricordo, perdendo dettagli, sfumature di quella ricchissima storia. Ad oggi però, nonostante quella fortuna, non ne ho che un’intuizione, supportata dai pochi dati citati in apertura.

Tornando infatti a Londra, non trovai altro che un quaderno nero, identico al mio ma in pietoso stato, con una sola ripetuta poesia, firmata “Giancarlo Renna”. Incredibilmente, raccontava proprio di quelle navi, di cui ebbi un giorno perfetta cognizione scientifica. Il testo ritrovato è qui proposto - nella sua versione finale, per quanto io ne sappia - ad apertura di queste mie memorie.