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Intervista Impossibile – Conversazione con il Progettista dei Giardini Pensili di Babilonia – di Gian Marco De Vitis

Intervista Impossibile – Conversazione con il Progettista dei Giardini Pensili di Babilonia – di Gian Marco De Vitis

Autore: redazione
pubblicato il 15/02/2023
nella categoria Parole

Mi trovo nel Pergamon Museum di Berlino, è tarda sera, siedo su una poltroncina ai piedi della Porta di Ishtar, davanti a me una poltroncina vuota mi ricorda che sono qui con un compito ben preciso, per il quale si è resa necessaria tanta burocrazia ed è stata richiesta la collaborazione di numerose autorità politiche, amministrative, religiose e probabilmente temporali; ma ne so ben poco, io giungo solo al termine di questa monumentale catena organizzativa, col mio compito decisamente più semplice: un’intervista.

Il museo è chiuso. L’impianto di illuminazione non è quello delle ore d’apertura. Le luci di un’intervista non sono le stesse necessarie per la museografia. Un proiettore illumina molto me e troppo la Porta di Ishtar che da questo scontro con una luce così fortemente orizzontale e bianca, ne esce fortemente sgraziata, finanche nel colore. Tra la mia poltrona e quella vuota sta un tavolino, con una lampada dalla luce gialla, più domestica, e una caraffa con due bicchieri.

Attendo ormai da una decina di minuti: si spengono le luci e sento voci in una lingua che non conosco venire dall’altro lato dell’immensa porta blu. Dal fornice passano quattro uomini, vestiti di una tunica, ciascuno porta nelle mani un treppiedi metallico con un braciere fiammeggiante. I visi seri e dagli occhi chiari, la spalla e il pettorale scoperti dalla tunica lucidi di sudore. Lo sguardo perso davanti a sé, posano i bracieri ai lati delle due poltroncine e ristanno, immobili, fronteggiandosi. Giovani uomini e donne, una decina, tutti bruni ed olivastri, compaiono al suono di strumenti che ho visto nelle teche dei musei, ma mai sentito suonare. Danzano sulle note dei sistri, scoprendosi i bei corpi dai tanti scialli di lino che indossano, alcuni imbracciano gli strumenti, altri fiaccole, e ruotando attorno alle poltroncine proiettano le loro ombre sulla Porta, ora magnifica nell’illuminazione delle vampe del corteo. Uno dei giovani sostituisce l’abat-jour che stava sul tavolino con un candelabro dai molti bracci, tutti recanti una candela accesa. La poltroncina davanti a me viene portata lontano dai bracieri. Sei suonatori di tamburo interrompono la musica dei sistri con un ritmo perentorio, i danzatori si fermano, il profumo dei loro balsami impregna l’aria; i percussionisti mi vengono incontro, e dietro loro altrettante persone, più nude che vestite, trasportano a spalla qualcosa di molto pesante. Così fa ingresso dall’enorme Porta blu un uomo regalmente vestito, seduto in trono, portato da quelli che devono essere suoi servitori, che me lo posano davanti, dove prima stava la poltroncina, in uno scintillio di sete e gemme: la tunica, lunga a coprirgli i piedi, è celeste, e ogni sua piega sembra puntellata di stelle sotto la luce dei bracieri, e quelle stelle sono pietre preziose; una collana di lapislazzuli e zaffiri gli tempesta il petto di luce; le mani, sui braccioli del trono d’oro e legno, portano più anelli che falangi: chi ho davanti usa le mani solo per gesticolare, è chiaro, nessuno con tutti quegli anelli potrebbe mai compiere qualsiasi azione; ma che strano, penso, non dovevo incontrare un architetto? Un architetto di tanto tempo fa, certamente, ma pur sempre un uomo pratico, che avrà dovuto disegnare, modellare, far di conto.

Mentre m’interrogo si è fatto silenzio. Nel crepitio delle braci gli occhi verdi pesantemente truccati dell’uomo regale mi fissano con attenzione e una certa superiorità. Il volto dell’uomo è elegante, la fronte è alta, i capelli lunghi sono raccolti in treccine legate assieme dietro la nuca, gli zigomi prominenti, le guance scavate, la barba nera è anch’essa ripetutamente intrecciata, qua e là vi si scorge una gemma tra i peli, alle orecchie porta pesanti orecchini d’oro.

Il silenzio è imbarazzante. Ad un cenno della mano dell’uomo sul trono, tutto il corteo che lo aveva accompagnato si ritira, tornando oltre la Porta. Rimasti soli, noto un nuovo scintillio nella sua barba: non sono pietre preziose. Sono denti, mi ha sorriso. Colgo l’occasione per togliermi di dosso il silenzio, la curiosità e, ammetto, la paura.