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Le nuove estetiche della società digitale: uno stato differente – di Francesco Ranocchi

Le nuove estetiche della società digitale: uno stato differente – di Francesco Ranocchi

Autore: redazione
pubblicato il 08/01/2023
nella categoria ADAD

“Estetica” è un termine che tende a essere sempre più screditato, attaccando la definizione originaria di Baumgarten “scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore, sorella della Logica”… ma si afferma il concetto dell’”estetico”, campo esperenziale, riportandoci al significato originale della parola greca, αἴσθησις, che significa direttamente sensazione, seppur in qualche modo filtrato secondo la nostra consuetudine a considerare le sensazioni definibili estetiche come piacevoli, come qualcosa che ci attrae. Considerare l’estetica nella primarietà del suo legame con il sentire, con i nostri sensi, è evidentemente-apparentemente una banalità: come “sentiamo” è un tema, perché ci piaccia, altro, perché coinvolga la sfera dell’esperienza come “arte”, ben altro; ossia come l’esperienza estetica sia esperienza artistica: sempre e totalmente, o a volte e in parte.

Estetica/estetiche. Non è una questione secondaria. È logico (e l’Estetica è sorella della Logica…) che nel confronto sia messa in questione la possibilità stessa dell’arte nel suo essere speciale, statuto straordinario con una propria categoria storicizzata, che fonda le proprie radici nel nostro più profondo essere, o contraddittoriamente si introduca la possibilità di gradazioni della stessa.

Per una trattazione dell’estetico come esperienza e come pratica, oltre all’ovvio riferimento a Dewey, rimando agli studi di Giovanni Matteucci e di Andrea Pinotti, che ne definisce implicitamente sfumature e/o opposizioni e utilizza proprio la relazione Estetico/Estetica nel titolo del volume su  Erwin Straus ed Henri Maldiney, mentre Matteucci ne circoscrive l’ambito in un suo titolo (“Aesthetics from Experience-of to Experience-with”).

Proprio la questione della prassi è l’elemento che ci fa immediatamente comprendere come, in un mondo di scambi rapidi, sensazioni e sfruttamento della sfera sensibile nella comunicazione, la concezione di Peirce, di una etica fondata sull’estetica, diventi non solo imprescindibile processo epistemologico della nostra coscienza e della nostra azione personale, ma si proietti in un fare sociale.

In questo ambito esteso confinare la trattazione nei problemi specifici dell’arte è senz’altro riduttivo; eppure i processi che coinvolgono l’estetico sono intimamente legati al fare artistico, da cui una società, come più volte notato (vedi, a mo’ d’esempio, gli scritti sulla moda e sullo stato gassoso dell’arte di Michaud [MICHAUD 2008]) dove è sfumata la relazione tra ciò che è propriamente artistico (perché, come semplificherebbe Bonito Oliva, è stato posto su un piedistallo) e ciò che ci attrae sensualmente, e qui riprendo un esempio apparentemente banale di Matteucci, quel motivo che vogliamo tornare a sentire, anche se conosciamo perfettamente; in questa  estetica come esperienza ciò che è chiaro è come tutto il processo non abbia una finalità direttamente cognitiva, non ci serva per capire qualcosa, ma per partecipare di una situazione, relazione, sensazione. Nella società delle reti, dell’incrocio e sovrapposizione continua di informazioni, che vuol dire anche immersione in un ambiente fatto di continui stimoli,  la questione è cruciale. Lasciando da parte le implicazioni della differenza tra concetto e sensazione, l’effetto dell’esperire estetico nella società è decisivo, e può portare a costruzioni etiche affatto differenti nell’esperienza personale o nel concerto della società (la forza coercitiva di questi processi nella sfera commerciale e politica, sotto gli occhi di tutti): quello su cui vogliamo concentrarci è questa decisiva influenza, a partire dal processo situazione-relazione-sensazione, come rapporto che si può riflettere nella nostra condizione linguistica (ossia nei processi di  enunciazione, vedi gli studi di Hjelmslev, Benveniste, Paolucci), ma che a noi interessa in quanto la precede, ovvero nelle condizioni di innesco di tale processo; in breve: che succede (e che, appunto, ci precede come noesi) nella relazione con l’agente artistico?

Riprendendo le sette domande enunciate in un precedente articolo [RANOCCHI 2022] proviamo a comprenderne alcune implicazioni; un problema centrale lí identificato è chi sia il soggetto della relazione, l’io cosciente o l’altra presenza, anch’essa dotata di agency, di azione, anzi specificamente agente nel contesto della relazione, in quanto ideata o scelta per questo…

Questo rimando, riflesso, confronto (e potremmo continuare utilizzando tutti i termini che esprimono reciprocità e circolarità) ha come coscienza diretta noi stessi, in quanto sentire diretto e proprio all’origine delle nostre più complesse proiezioni (che già non sono definibili così dirette e proprie), ma questo proiettarsi va oltre, è sentire condiviso sempre al massimo grado di complessità possibile, gioco di volontà, credenze, fino alle minime tracce del vivere, ed è in questa collusione[1] che la coscienza dell’altro, dell’anti-io, agisce come estranea e insieme come intimamente nostra; è cosciente in quanto attivo con la nostra capacità noetica: il cogito ergo sum, come l’Ich denke, è allora pura appercezione, (autocoscienza), ma di una “metamorfosi” che estende il sé nell’assente, e viceversa; il rimando è al percorso dell’animazione dell’inanimato, dall’Einfühlung romantica alle neuroscienze, con i modelli di una intersoggettività e presentificazione dell’assenza nel processo enunciativo[2], per cui il confronto è in grado di attivare un “parallellismo psichico”, appropriazione e insieme alienazione attraverso uno stato nel quale l’io vive rivivendo; quindi ne abbiamo coscienza ormai memorizzabile e partecipe dei nostri processi vitali, fino alla possibilità di descrivere questo vissuto, di metterlo in relazione, in discussione secondo i paradigmi propri delle nostre possibilità logiche. Può entrare nei nostri processi di identificazione e differenziazione: il tema è vasto e richiede approfondimenti che non sono l’oggetto di questo scritto, volto a cogliere possibili conseguenze di questa condizione nella società delle reti, ma il riferimento a questi modelli è necessario per comprendere la nostra tesi.

Se ipotizziamo un’identificazione, capace di proiettare uno stato cosciente nell’oggetto incosciente, “risvegliando”, animando il suo potenziale comunicativo “ai nostri occhi”, non dobbiamo perder di vista un concetto fondamentale: per identificarsi è necessario interagire con quelle qualità con le quali accordare le nostre qualità (cioè la nostra identità); se queste qualità- valori (e un riferimento alle teorie di Rossi Landi [ROSSI-LANDI] è capace di illustrarci la relazione diretta informazione-valore) sono stabilite in un processo di affermazione statistica (come è quello delle reti, dove conta la massa numerica), lo slittamento dalla cultura del dialogo a una condizione tendenzialmente non volontaria comporta un diverso intercambio con quello che, nell’articolo in questione, definimmo “anti-io”. In altre parole l’anti-io diviene il feticcio di una serie di qualità impostesi statisticamente attraverso l’immenso flusso di informazioni delle reti: indicando lo stato di qualcosa (dati), modificano il nostro stato; non si riflette più un processo dialettico capace di derivare le qualità da una organizzazione logica e da una tradizione culturale, a loro volta derivate da altri processi, organizzazioni logiche, rotture della norma, etc. Invece le qualità discendono direttamente da quantità, ossia da accumulazioni di dati, che agiscono come “cose” in quanto composte quindi da selezioni generiche di informazioni-valore.  

Le relazioni con l’altro (arte, natura o altri) costituiscono l’io cosciente ma nel passaggio dalla cultura del dialogo a quella delle reti si porta agli estremi la condizione strutturale definibile come influenza del milieu e, dal peintre de la circonstance, si ha un progressivo slittamento verso una sostanziale differenza enunciativa, una devastazione della struttura cognitivo-comunicativa; si estremizza lo scontro con agenti, o meglio l’immersione in flussi d’azione, nei quali il processo enunciativo è non solo impersonale (come Paolucci suggerisce che sia comunque la struttura enunciativa), ma sfruttando questa caratteristica è anche assolutamente mancante di volontarietà: impersonale e automatico; e tale è la sua origine e produzione: indifferenziata, puro valore infinitesimo atto a produrre mere densità di senso a scopo procedurale, in una sfera ben oltre la nostra coscienza, appunto annichilita in questo processo di sviluppo della società delle reti, della società automatica.

Questo è ciò che ci colpisce direttamente; poi, l’elaborazione razionale, cosciente, ponderata, recupera gli stessi valori-informazione dalla nostra enciclopedia (secondo la definizione di Umberto Eco) per rispondere, decifrare, elaborare, gestire, commentare, sentire e trattare nei vari modi possibili il tutto ma, a tal punto, l’identità tende a confezionarsi (cum facere) e l’”energia” (sensuale-estetica-espressiva-ricettiva-reattiva) a sprigionarsi in un modo affatto nuovo rispetto alle forme e modalità che avevano caratterizzato in forma praticamente esclusiva questo processo nel passato.

Da qui l’estetico come forma di superficie (in una accezione ben più ridotta rispetto alle provocazioni di Nietzsche) compartita, dove è sí premessa dell’etica, ma funzionale a un processo di qualificazione che ha come finalità riportare ciò che è attrattivo, per dirla con Bourdeau, nel registro del dare e dell’avere: puro commercio, scambio di oggetti ai quali attribuiamo valore; oggetti che al contempo sono investiti da un processo di semplificazione, banalizzazione funzionale, eliminando tutti quegli aspetti che abbiamo definito anicastici, ossia di ostacolo a una trasmissione immediata del potenziale comunicativo. Ma a tal punto non sono io che giudico la merce, sono da essa giudicato… il processo di inversione del soggetto agente che avevamo delineato per la relazione persona-arte, viene esteso a tutto ciò da cui siamo attratti, a tutto ciò col quale ci confrontiamo, che ci attrae esteticamente, a tutto ciò che, se possiamo, compriamo, a tutto ciò che, in definitiva, desideriamo.

E rispetto all’arte? La questione si fa ancora più complessa: come modalità di relazione (esperienza dell’arte) è ciò che mi accoglie nelle mie aspettative più profonde, ma il suo potere seduttivo è sempre più, anch’esso, nell’essere pura merce, messaggio di merce, giudizio-merce e quindi, sempre più mi accoglie in quanto io possa identificarmi con la stessa merce; per quanto semplicistico e insieme contorto possa sembrare, la lettura di questo processo è immediata pensando al mercato dell’arte, all’habitus del collezionista, alla valorizzazione basata su successo e prezzo, all’identificazione successo/potere, processi sempre esistiti, ma esasperati nell’attuale sistema dell’arte.  La transustansazione in opera nella società occidentale ha dato il passo finale: da materia a vita, da vita a merce, il tutto rappresentato ad arte.

FR 9-11-2022


[1]   Ci viene ancora incontro l’abile dialettica di Matteucci

[2] «Ecco allora che l’iscrizione di un simulacro dell’enunciazione all’interno dell’enunciato è semplicemente uno dei tanti modi per renderne presente l’assenza attraverso la costruzione di un delegato; tanto che, per la semiotica, in ogni testo si avrà sempre un lettore empirico atto a costruire e ricostruire i suoi stessi simulacri al fine di far circolare il senso del testo (cfr. ECO, 1979; MARMO, 2003). Si hanno cioè dei simulacri dell’enunciazione nell’enunciato che rendono presente l’assenza stessa di chi è in qualche modo presente (il lettore), oltre che di chi è assente (l’autore). Il lettore empirico gioca con la sua propria assenza presentificata nel testo che lo iscrive in quanto simulacro. L’autore empirico fa specularmente la stessa cosa.» PAOLUCCI, 2020, pag. 325; altrove [PAOLUCCI,  2005, PAG. 118]: «l’enunciazione esprime esattamente questo raddoppiamento in cui un individuo dotato di linguaggio si mette in scena nel suo discorso»    

BIBLIOGRAFIA

Alexander Gottlieb Baumgarten, Aesthetica, 1750 (I), 1758 (II).

Benveniste, E., Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris. 1966 (tr. it.  

Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano, 1971).

Hjelmslev, L., La catégorie des cas. Étude de grammaire générale, Acta Jutlandica, VII,

pp. I-XII e pp. 1-184, Universitetsforlaget, I, Aarhus, 1935 (trad. it. La categoria

dei casi. Studio di grammatica generale, Aego, Lecce, 1999).

Hjelmslev, L., Nouveaux essais, PUF, Paris, 1985.

Giovanni Matteucci, Estetica e natura umana. La mente estesa tra percezione,

emozione ed espressione, Carocci, Roma, 2019.

Michaud, Yves, L’arte allo stato gassoso. Saggio sul trionfo dell’estetica, Mimesis

Edizioni, Milano, 2019.

Paolucci, Claudio, Persona. Soggettività nel linguaggio e semiotica dell’enunciazione,

Bompiani, Milano, 2020,.

Paolucci, Claudio, 2020, Wish you where here. Dai Pink Floyd all’enunciazione

             impersonale, su www.ec-aiss.it

Peirce, Charles Sanders, Collected Papers of Charles Sanders Peirce, voll. I-VI edited by

C. Hartshorne and P. Weiss, 1931-1935, voll. VII-VIII edited by A.W. Burks, 1958,

Belknap Press, Cambridge (Mass.).

Pinotti, Andrea, Alla soglia dell’immagine. Da Narciso alla realtà virtuale, Einaudi,

Torino, 2021

Ranocchi, Francesco, L’architettura: dalla società dello spettacolo all’era delle reti, Tesi

di dottorato, UdG, 2015

Ranocchi, Francesco, Sette domande, PresS/Tletter, 2022