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Sette domande – di Francesco Ranocchi

Sette domande – di Francesco Ranocchi

Autore: redazione
pubblicato il 3 Giugno 2022
nella categoria Parole

un quadro è, ed è sempre stato un oggetto magico, un oggetto religioso.

Solo che gli dei cambiano[1]

Scrivere qui è diverso dall’inserirsi in una catena di fogli di carta precostituiti, sottoposti in qualche modo a una revisione e poi pubblicati. Diciamo che costituisce la catena stessa e suggerisce delle sovrapposizioni.

Da ciò derivo se non l’obbligo di scrivere altrimenti, almeno la sua possibilità. Per cui invece di seguire schemi argomentativi, pongo semplicemente delle domande, lasciandole alle successive sovrapposizioni. Magari aggiungo che seguirà, da parte mia, uno scritto convenzionale che riassuma il tutto in forma unitaria e coerente.

Che sia fondamentale porsi delle domande corrette è una ovvietà; trovarle è un’altra cosa; sperando che siano d’interesse, elenco le mie domande (aggiungendo delle possibili linee di sviluppo e intreccio).

  1. Nel rapporto con l’opera (d’arte, ma estenderei il concetto all’altro in genere), chi è il soggetto? l’io, dotato di coscienza o l’altro, dotato di agenzia (annosa e sciatta traduzione dell’inglese agency, che da qui in avanti sostituisco con il più vitale anima)?
  2. Nei casi di arte autografica o allografica, quest’anima è simile e/o confrontabile?
  3. Quando l’opera, come già nel mondo della suggestione mistica, nella realtà della meccanica e sempre più nelle strutture digitali, è in grado di interagire effettivamente, fino a poterne ipotizzare una forma di coscienza, questo rapporto come cambia?
  4. C’è una relazione tra l’antico sacrificio, come processo di manipolazione-appropriazione-identificazione e l’attuale processo assertivo dell’arte, capace di creare valore (di fatto l’artista è assimilabile a un emittente di valuta, cosa sempre più chiara con il fenomeno Nft)?
  5. In che relazione è questo valore, trasformabile in denaro, con quello dell’informazione che caratterizza la nostra sfera mediale, facendo un diretto riferimento alle teorie di Rossi-Landi[1]?
  6. E in che rapporto è, quindi, quest’informazione, diciamo speciale, con noi stessi, con la nostra identità?
  7. Ossia come questi processi di attribuzione del valore, di oggettivazione e trasformazione in valore del simbolico, dipendono dalla pratica primitiva, dal processo di transubstanziazione attuato nel sacrificio e come da questo dipendono i processi di attivazione dell’identificazione?

Prima domanda; ammettendo l’ovvietà che siano entrambi, reciprocamente, oggetto e soggetto: con quali differenze? Si può parlare di Io ed Anti-io[2]? E che strutture sovrappongono alla nostra vita la nascita e la struttura di questo Anti-io? E come tutto questo ci cambia?

Seconda domanda; in assenza di sacerdoti, quando, quanto e come è sensazione, azione e/o interpretazione?

Terza domanda; che succede nell’ipotesi di una progressiva autonomia dell’agire dell’opera? Che differenze occorrono rispetto alla condizione puramente ieratica o a quella rituale-celebrativa? Chi può entrare e chi può uscire, in questo rapporto, dall’aura dell’arte?

Quarta domanda; come può il valore, inteso come qualità capace di produrre quantità monetizzabili, contribuire a costituire l’identità contemporanea?

Quinta domanda; come l’insieme della sfera semiotica e più ancora, al di là di significati selezionabili logicamente, le quantità statisticamente verificabili d’informazione, costituiscono nuove, continue gerarchie del valore? Sesta domanda; quale parte di questi dati ci possiamo trovare a considerare come speciale (nel senso di degna di partecipare al processo di costituzione identitaria attraverso processi di tipo eidetico o altre esperienze sensoriali? Possiamo inglobare in questo essere speciali anche processi non direttamente estetici, ma che implicano la sfera cognitiva e i giudizi razionali, come sembra suggerire il sempre maggior riferimento a esperienze artistiche appartenenti al dominio concettuale nell’ambito dell’estensione alla realtà cibernetica e digitale dell’arte? Oppure la dislocazione progressiva persona-individuo-soggetto fa oscillare la bilancia a favore dell'anima-agency, piuttosto che della coscienza, trasferendovi il polo dell'azione socialmente coinvolgente, in forma automatica (General Intellect, cybionte, sciame digitale)? O entrambe le cose, inquanto gaia evoluzione transumana?

Settima domanda; Ammettendo la consistenza di quest’origine, seppur in forma euristica, quali percorsi impegnano l’Io (e l’Anti-io) nell’arte, oggi?

Tutto questo lo lasciamo in questa forma interrogativa, abbandonandolo, per il momento, al suo futuro.


[1] Piero Manzoni, Ricerca d’immagine,  gennaio-marzo 1957, dattiloscritto conservato presso la Collezione Guido Pautasso di Milano

[2] Ferruccio Rossi-Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato, Bompiani, Milano 1968

[3] Anti-io è un termine utilizzato quasi esclusivamente nell’ambito della magia e in territori analoghi; qui lo utilizziamo per identificare chi ci è opposto in una relazione estetica e sembra eludere i commutatori (embrayeurs) e definizioni semplici come io, tu, lui (e tanto più “cosa”), attuandosi in un contesto evenemenziale.