Autore: redazione
pubblicato il 15 Aprile 2022
nella categoria Parole
Domenica 10 aprile alle 18.30 negli spazi di Zalib, nel cuore di Trastevere, a Roma, si è tenuta la performance “Il lato oscuro del desiderio”, prodotta da Genderotica, festival internazionale della cultura queer, con protagonista Senith e la collaborazione di Electra, Velvet Madonna, Mila Morandi Maiorelli, Angelo Venneri e Elisa Zedda. L’evento è a cura di Roberto Cavallini e Barbara Lalle.
Desiderio deriva dal latino de-sidera, mancanza (de) di stelle (sidera, da sidus, sideris), nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle” e quindi di “appetire qualcosa che manca”, qualcosa che possiamo ottenere da un altro essere i cui desideri siano compatibili con i nostri. Il desiderio nasce quindi da una mancanza, da un bisogno interiore che ci muove, ma bisogno e desiderio non sono la stessa cosa: infatti i bisogni sono universali, comuni a tutti gli esseri umani, ma uno stesso bisogno può dar luogo a desideri diversi in persone diverse, e anche nella stessa persona in tempi diversi.
L’installazione si compone di sei spazi tra i quali l’ospite può muoversi liberamente, passando, secondo i casi, da spettatore a protagonista della performance. In ciascuno spazio ci si confronta da una diversa angolazione con i propri, o con gli altrui, desideri ma anche e soprattutto si osservano relazioni. Senza relazioni (prima di tutto una buona relazione con se stessi, come nella stanza “in vetrina”) i desideri rimangono infatti entità astratte, in cerca dell’incontro con quelli, compatibili, di un altro essere.
Così, attraverso il “buco della serratura” si assiste a una storia di amore che diventa di gelosia e di possesso e ridiventa di amore e poi di disprezzo e poi di nuovo di amore. Si intravedono squarci di relazioni intime, passi a due, dialoghi, lotte, dinamiche geometriche che si ripetono implacabili, immutate o invertendo ruoli.
Nella stanza “in vetrina” è raccontata la presa di coscienza della propria forza interiore, forza di affrontare la vita, senza bisogno di nessuno. Quando non c’è più il bisogno, si può lasciare che la vita accada, provando l'amore, gli abbracci, la gioia, che non vengono necessariamente da una relazione. Pensare con la propria testa, senza temere il giudizio degli altri, cercando ogni giorno di superare i propri limiti e di accettare il proprio essere.
Ne “la chat” l’ospite partecipa alla performance, interagendo tramite parole scritte su uno schermo in un dialogo a due mediato dal mezzo informatico che, grazie alla sicurezza data dalla distanza fisica e dal non doversi mostrare né guardare negli occhi, consente di superare paure, insicurezze e inibizioni.
Nella stanza della “schiavitù consensuale” le corde contengono il corpo del “prostituto aziendale”, nodo su nodo, materializzazione intima e sensuale di una schiavitù di ruoli imposti e socialmente accettati, di obblighi che conferiscono status, ma annichiliscono l’animo con continue assillanti e protervie sollecitazioni.
In “dammi l’abito e ti farò il monaco”, l’individuo spinto ad impersonare una moltitudine di sé e di altri da sé, che seppur richiama l’uno, nessuno e centomila di pirandelliana memoria, declina l’imposizione subita in un ossessivo gioco di seduzione e travestimento, che occulta le fluide e molteplici identità.
È nel “confessionale” che l’ospite si trasforma da spettatore in protagonista, ritrovandosi dall'altro lato della telecamera, dove ha l’occasione di potersi raccontare, di confessare il proprio lato oscuro. Così si trasporta la performance in ambito di reciprocità, cercando di stimolare l'affiorare del lato oscuro del desiderio da parte del pubblico coinvolto in prima persona.