Autore: Antonio Tursi
pubblicato il 26/02/2022
nella categoria Parole
Nati all’estero
Si ritorna spesso a Miami perché in questa città della Florida ci si diverte. Un dato di fatto imprescindibile. È necessario perciò domandarsi: come si è arrivati a costruire questa piattaforma del divertimento globale? Per intanto, mettiamo insieme alcuni dati sulla popolazione. Miami, già avamposto militare in paludosa terra di indiani, conta alla fine del Diciannovesimo secolo 444 abitanti: di fatto è appena un villaggio. Con la costruzione dello storico distretto dell’art déco, dalla fine degli anni Venti del secolo scorso iniziano alcuni decenni di una prima crescita demografica: così, subito dopo la seconda guerra mondiale, la città conta circa 250 mila abitanti. Dall’ascesa del regime di Fidel Castro, la migrazione da Cuba è stata ininterrotta. Si stimano in diverse centinaia di migliaia gli esuli cubani stabilitisi in città. Solo nel 1980 una flottiglia di piccole imbarcazioni, nel cosiddetto Mariel Boatlift, fece approdare in città quasi centomila persone. Quella cubana non è l’unica comunità straniera fortemente presente in città: tanto che l’United Nations Development Program pone Miami come prima città al mondo per residenti nati all’estero (rappresentavano il 59% della sua popolazione nel 2014). Oggi la città conta quasi mezzo milione di abitanti. Ma l’area metropolitana nel suo insieme raggiunge l’incredibile cifra di quasi sei milioni di persone, ponendosi tra le più popolose degli Stati Uniti.
Come mai questa esplosione demografica in prossimità del nuovo millennio? Perché Miami è diventata una città-snodo con funzioni globali, come sostiene Saskia Sassen. La sociologa urbana sottolinea come, ben oltre gli scambi trainati dagli esuli cubani, dalla fine degli anni Ottanta si siano concentrate in questa città filiali di banche estere e quartieri generali regionali di multinazionali e dunque uffici di rappresentanza, strutture di telecomunicazione, servizi finanziari e specializzati per le imprese, con un aumento importante del traffico sia aereo sia navale. Il suo aeroporto ha un numero di passeggeri stranieri e merci secondo solo al JFK di New York e il suo porto è il principale scalo al mondo per le crociere. “Si può pensare l’area metropolitana di Miami come una piattaforma per gli affari internazionali e il coordinamento a lunga distanza delle transazioni svolte nell’area latinoamericana e caraibica da imprese di tutto il mondo”. In particolare, Miami è descrivibile come un ponte verso il centro e il sud America: una delle aree al mondo che ha visto, con la globalizzazione, più fortemente aumentare le sue transazioni economiche e, in particolare, gli investimenti esteri.
Dunque, siamo entrati in una città che, senza avere una tradizioni di scambi o addirittura essendo appena un villaggio un po’ più di un secolo addietro, è entrata a pieno titolo nei processi di globalizzazione, in una rete globale di città che segnano l’economia contemporanea. Questo ha significato opportunità di vita e, dunque, magnetismo nei confronti di persone appartenenti a diverse fasce sociali, che si sono concentrate a Miami e nei suoi immediati dintorni.
Le varie zone della città danno, per un certo verso, conto di queste diverse fasce. Ovvero Miami può essere descritta come un insieme di zone specializzate. Ci sono le zone specializzate nell’accogliere le minoranze (che poi tanto minoranze non sono) come la vivace Little Havana, con la sua Calle Ocho piena di ristoranti e attività dall’inconfondibile sound caraibico, o la deprimente Little Haiti con le sue modeste casupole sparse. Ci sono soprattutto zone specializzate in funzioni particolari: Downtown con i suoi grattacieli racchiude i centri finanziari ed economici; il Design District ha accolto le boutique dell’alta moda e alcuni centri creativi; Miami Beach è invece il rifugio dei vacanzieri.
Non si può certo affermare che queste zone siano ben integrate. Anzi sono tentate dall’isolarsi o dall’essere isolate dal resto della città, sono a rischio ghettizzazione. Alcune operazioni di architetti e artisti creano, però, nodi e corridoi di passaggio. Già in passato Christo aveva dato un segnale impacchettato di rosa le isolette sparse nella Biscayne Bay. L’Art Basel decentra i suoi eventi in diversi punti della città. Wynwood ospita i creatori della street art. Una importante mostra di Banksy può venir dislocata in periferia. Il Museum Park, con il magnifico Pérez Art Museum progettato dallo studio svizzero Herzog & de Meuron integrando vegetazione tropicale, vetro e metallo, è un po’ la cerniera tra Downtown e Miami Beach, dove lo stesso studio ha progettato l’imponente garage di Lincoln Road tra le prime cose che si vedono arrivando sull’isola. Insomma, l’arte nella sua versione mainstream prova a ricucire i fili di una città diventata velocemente globale e a rischio di lacerazioni interne. [1/3 continua]