Autore: Antonio Tursi
pubblicato il 07/02/2022
nella categoria Parole
La situazione sociale difficile, la precarietà esistenziale, il senso del pericolo portano con sé un’impellente necessità di credere, di manifestare atti di fede. L’anelito ad una dimensione sacra si coglie in tutta la sua diffusione e intensità di fronte all’effigie della Vergine di Guadalupe, padrona del Messico. Tra la chiesa antica e quella nuova, nello spiazzo immenso di fronte agli edifici religiosi va in scena quotidianamente la spiritualità cattolica importata dai missionari spagnoli e tradotta nella Vergine che parla agli indigeni e ai meticci. La religione cattolica per tutta l’America Latina è stata un vettore di incontri anche cruenti tra civiltà diverse, ognuna delle quali nell’incontro ha portato qualcosa di sé, sino alle forme di sincretismo osservabili nel candomblé di Salvador de Bahia. In Messico, oggi la religione cattolica costituisce un sostrato comune che tiene e sostiene una società anche nei momenti di difficoltà estrema. Rispetto a catastrofi naturali, come i frequenti terremoti, o agli incidenti della vita quotidiana, l’appello devozionale alla Nuestra Señora è il rimedio più frequente. Rispetto a una politica che garantisce assai poco i diritti civili e sociali, rispetto a una società che non agevola affatto la mobilità al suo interno, la fede è il pilastro al quale tutti possono sperare di appoggiarsi. Ogni giorno la chiesa nuova, quella nella quale è conservato il mantello-effige della Vergine, straripa di fedeli provenienti da ogni dove ed irradia la sua luce di speranza in tutte le direzioni.
Ma a Città del Messico la religione istituzionale della Chiesa cattolica sta trovando ultimamente concorrenza. Una strana concorrenza che, a suo modo, sprona atti di devozione e offre vie di speranza: il culto della Santa Muerte, delle statuine che raffigurano il cadavere di una donna, di una sposa, forse di una bambina, con il vestito bianco ma più spesso con il manto scuro, e con falce in pugno. Nel suo inno “si vede, si sente, la Morte è presente!” risuona anche la storia antichissima del memento mori, che ricorda a ciascuno la caducità dell’esistenza, che reinquadra in una giusta prospettiva le vicende umane, troppo umane. È questo culto, in alcuni quartieri, il riferimento forte o forse unico di chi vive e si sente sempre più ai margini delle istituzioni, anche di quelle ecclesiastiche. È il culto di chi trova un senso nel mondo della criminalità e ricerca, anche in questo caso, appigli valoriali trascendenti. Invocare la Santa Muerte significa sperare di veder realizzati, anche per vie traverse, i piccoli obiettivi della vita quotidiana. Così tra i mercati variopinti e traboccanti di Tepito, zona di spaccio per eccellenza, si vedono spesso le statuine, impasti di cartongesso, di stoffa, di metallo e persino di ossa, sfilare in processione e ottenere l’attenzione degli umili e disperati, esclusi dal sistema pubblico di protezioni sociali e forse anche dalla carità dei prelati cattolici. Anche in questo caso, si può notare quello spirito di arrangiamento tipico di Città del Messico. Ci si arrangia anche in fatto di fede. Ci si costruisce i propri santi.
Le parole di Martín Caparrós, flâneur in questa capitale della hispanidad, condensano magnificamente questo groviglio urbano, friabile ma in continuo fermento: “Città del Messico è questa violenza e questi insulti, questa disuguaglianza e questa cultura, queste parole e questa musica, sette secoli e milioni di auto, di corpi e di rumori, la capitale più grande della lingua spagnola. È la città per eccellenza. Una città è materia che trabocca, energia in movimento incontenibile, folle, macchine e soldi che si muovono, ansie, appetiti, paure che si muovono per niente, per continuare a muoversi. Un’enorme quantità di energia per creare più energia da spendere per creare più energia per”. [4/4 fine]