Autore: Antonio Tursi
pubblicato il 25/01/2022
nella categoria Parole
Una certa indolenza e spensieratezza dei suoi abitanti è solo il contrappasso di una situazione da sempre instabile e precaria, che impone capacità di resistenza e perseveranza. Se nella storia questo carattere indomito ha portato spirito guerriero, lotte tra civiltà, guerre di liberazione, rivoluzioni e guerre civili, oggi esso si intreccia, da un lato, con una forte polarizzazione sociale che scava divari abissali e, dall’altro, con la corruzione dei pubblici poteri, a iniziare da quelli di polizia. In definitiva, Città del Messico è una città pericolosa. Soprattutto per le persone più deboli e indifese, soprattutto per le donne, vittime di molestie, abusi, rapimenti e crimini spesso efferati. I grandi affari dominati dai cartelli della droga si svolgono accanto a tante azioni di microcriminalità.
I romanzieri non hanno mancato di cogliere questa tensione criminale, questa atmosfera di incombente pericolo. È in questa megalopoli rancida, tentacolare, matrigna che svolge le sue indagini il detective Héctor Belascoarán, personaggio memorabile creato da Paco Ignacio Taibo II, perché “la città si nutre di carogne. Come un avvoltoio, come una iena, o come il messicanissimo zopilote, si avventa sui morti nazionali. E la città aveva fame. Proprio per questa ragione quel giovedì la cronaca nera ancora una volta grondava sangue”. Carlos Fuentes immagina, addirittura, il trasferimento a Città del Messico di un nuovo e famoso concittadino: “ora mi perdo nella città più popolosa del pianeta. Mi confondo tra le sue moltitudini notturne, assaporando già l’abbondanza di sangue fresco, pronto a farlo mio, a rinnovare con la mia sete la sete dell’antico sacrificio che è all’origine della storia… Ma non lo dimentichi. Sono sempre Vlad, per gli amici” . Così il conte Vladimir Radu, il famoso e ottocentesco conte Dracula, dalle lande balcaniche arriva sull’altopiano messicano, pronto a rinnovare i suoi sacrifici di sangue ma anche quelli delle antiche civiltà indigene, pronto a innestarsi negli attuali flussi delittuosi della megalopoli e a gustarli con la sua eleganza aristocratica. Anche il cinema ha rispecchiato questo inferno metropolitano: Amores Perros di Alejandro Gonzáles Inarrìtu con la sua storia a mosaico, oltre al lancio internazionale di una nuova generazione di raffinati cineasti di successo, ha offerto in primo luogo una ricognizione amara, dura, disperata sulla violenza criminale a cui la perra vida, la vita da cani, conduce i ragazzi di strada, quelli che conducono le loro vite negli slums, agglomerati di baracche fatte di mattoni e lamiera ma anche di plastica e cartone, con servizi carenti o del tutto assenti, arrampicati sulle pendici delle montagne che circondano la megalopoli.
Questo clima difficile, pesante, ansiogeno rende faticosa l’espressione della socialità gioiosa dei latinos e spesso non rende possibile appropriarsi degli spazi pubblici. Città del Messico è una città di punti discontinui: si tenta di andare da un punto all’altro, da un quartiere all’altro, evitando il percorso, il cammino intermedio, per quel che il traffico permanente permette. Questo clima genera gated communities, come Santa Fe che, con i suoi brillanti grattacieli, il suo laghetto artificiale, i suoi lussuosi centri commerciali e i suoi vigilantes armati, riproduce uno spazio pubblico privatizzato e recintato ad uso esclusivo dei possessori di credit card. Ormai i ricchi lasciano le tradizionali zone borghesi del secolo scorso, come colonia Roma, il quartiere residenziale mostrato da Alfonso Cuáron nel omonimo film vincitore del premio Oscar, per vivere nella tranquillità rarefatta e artificiale di queste zone di città separate dal resto della città, dal suo caos, dal suo traffico, dai suoi pericoli. [3/4 continua]