Autore: Antonio Tursi
pubblicato il 19/01/2022
nella categoria Parole
Prima ancora degli uomini, lo storico Fernand Braudel invita a guardare la geografia per comprendere la lunga durata della storia. Quella di Città del Messico è assai peculiare. La si coglie pienamente nella centrale avenida Madero che sbuca sulla piazza dello Zócalo con la sua Cattedrale e gli imponenti palazzi del potere politico. Ai lati di questa strada, infatti, le chiese sono tutte poste più in basso del livello stradale. Si raggiungono attraverso gradini o passerelle. Come mai questo dislivello? Perché quegli edifici seguono l’andamento del terreno sottostante. Un terreno che sta sprofondando pian piano, in quanto questa megalopoli è stata costruita, in parte già prima della colonizzazione, sui fondali di un grande lago e per giunta in un altopiano vulcanico. I vari villaggi indigeni che sorgevano inizialmente ai bordi del lago hanno costruito nel tempo passaggi, palafitte, collegamenti tra loro, hanno interrato zone acquitrinose, hanno costruito giardini galleggianti utilizzando canne e fango, hanno innalzato su terreni argillosi i loro edifici e persino i loro imponenti templi. Gli spagnoli a loro volta hanno continuato quest’opera di riempimento. Anzi sono andati oltre: hanno tentato di drenare le acque e sostituire canali e fossati con strade e piazze. L’intera piazza dello Zócalo è sorta su una copertura del precedente centro atzeco. Così oggi gli edifici del centro storico, tra cui il retro del Palacio Nacional, “somigliano a disegni cubisti, con finestre pendenti, cornicioni ondulati e porte non allineate con lo stipite”, osserva un cronica.
Un’opera di appropriazione che è continuata e continua con il massiccio sviluppo urbano, fatto di cemento e di asfalto, materiali che cristallizzano il sottostante terreno poroso. Un’appropriazione che si declina anche come sfruttamento delle falde acquifere sotterranee, necessario per dissetare i sempre più numerosi abitanti. Sfruttamento che, a sua volta, rende sempre più instabile il terreno.
Ogni anno, soprattutto con le piogge, la natura reclama e riprende ciò che le è stato sottratto dall’uomo. Inesorabile, puntuale nei suoi centimetri annui, invincibile. Determinando quel fenomeno di sprofondamento noto come subsidenza, oltre a tante inondazioni e frane nel corso dei secoli. Ciò costringe a sua volta l’uomo a nuove imprese, a dispiegare le sue tecnologie, a riguadagnare i suoi spazi, a differenziare le sue fonti di approvvigionamento idrico. Se non notiamo immediatamente la differenza di livello tra la Cattedrale e l’enorme piazza è perché, sotto l’imponente edificio, sono stati posti centinaia di meccanismi a pompa idraulica che lo sorreggono e ne evitano lo sprofondare con il terreno friabile.
Città del Messico è dunque una città friabile, fatta di sedimenti e, come la Napoli porosa di benjaminiana memoria, richiede ai suoi abitanti questo sforzo continuo, questo adattamento, questo arrangiamento. Persino i nomi della città e dei suoi spazi principali sono frutto di adattamenti continui. Dall’atzeca e magnifica Tenochtitlán a México, come era chiamata in spagnolo la capitale della Nueva España; dalla sigla DF che stava per Distretto federale all’attuale sigla CDMX; sino ad arrivare al nomignolo ironico ma anche reverenziale con cui è chiamata da chi ci abita: El Monstruo. La piazza dello Zócalo, che ufficialmente è adesso Plaza de la Constitución, in precedenza è stata Plaza Real e ancor prima Plaza de Armas.
“A Città del Messico tutto cambia e niente cambia. L’unica certezza è che niente è certo: qui tutto può tremare, tutto può cadere. Tutto è promessa, tutto è minaccia. Tutto è sorpresa, sempre”, come avverte nei suoi vagabondaggi in città lo scrittore argentino Martín Caparrós. Non è un caso, perciò, che la sua piazza principale sia stata teatro di un intervento spettacolare dell’artista-architetto Rafael Lozano-Hemmer: l’Alzado Vectorial ha progettato l’illuminazione spettacolare della piazza attraverso un’architettura nello stesso tempo relazionale e istantanea, effimera. Dunque, da un lato, coinvolgendo le persone attraverso le reti di comunicazione e, dall’altro, mostrando consapevolezza del carattere transeunte delle stesse strutture architettoniche, rese in questa circostanza interattive. Si è trattato, dunque, di una metafora, attraverso le nuove tecnologie, della storia instabile di questa città. [2/4 continua]