Autore: Oliviero Godi
pubblicato il 05/02/2021
nella categoria Godimenti di Oliviero Godi
Il fascino oscuro di Minitalia o l’iconografia al servizio del business… Devo avere ancora da qualche parte le foto della visita da ragazzino a una delle tante Minitalia che costellavano la riviera romagnola. Dovevo avere sei o sette anni e questa era una delle gite serali dopo il mare per godere di quel poco di fresco che un Agosto potesse concedere. Ricordo però ancora distintamente i viottoli e alcuni dei monumenti delle varie città -Pisa con la sua torre, Venezia con piazza San Marco, Roma con San Pietro e il Colosseo-. Nel mio immaginario di bambino questa passeggiata tra i vari edifici mi permetteva di volare da una città all’altra nello spazio di pochi minuti e sentirmi parte di quel paesaggio iconografico sia pur senza esserci mai stato. Con un piccolo salto temporale arriviamo alla fine dello scorso millennio. Appena rientrato dagli Stati Uniti e fresco di laurea venni chiamato da un amico perché un suo cliente cinese cercava un architetto. Fu un incontro molto…surreale. Il cinese, o meglio la sua società, aveva appena comprato un’isoletta di fronte a Shanghai e voleva farci una sorte di Venezia. Io ero entusiasta di poter applicare le mie conoscenze decostruttiviste -venivo dalla Columbia University- ad un ambiente lagunare come la città veneta. Ma no, il cliente non voleva una interpretazione in chiave contemporanea di Venezia. Voleva Venezia. Con le sue piazze, il campanile, la basilica e tutto quello che faceva di Venezia quello che tutti nel mondo conoscono. Dissi di no, (ero pieno di idealismi…) che non era il mio modo di lavorare e che trovavo molto kitsch fare una cosa del genere. Il cinese, molto gentilmente, mi spiegò che essendo loro quasi due miliardi era necessario portare in Cina quello che non tutta quella massa di persone poteva permettersi di vedere viaggiando fisicamente in Europa. Il suo era un discorso prettamente economico, di business, ma aveva un fondo di verità (alla fine i business che funzionano si devono basare su necessità vere e non effimere). Non so se questa particolare Venezia vicino a Shanghai venne mai costruita, ma sicuramente non la feci io. Arriviamo ad oggi. In Cina, Vietnam e altri paesi asiatici ci sono repliche perfette di Parigi e Venezia. Certo, non le due città nella loro interezza, ma di nuovo, come per la mia Minitalia della gioventù, solo degli elementi più rappresentativi, più iconografici, più corrispondenti all’immaginario collettivo della gente. Ho avuto modo di lavorare su alcuni di questi progetti per la parte di design urbano e di paesaggio verde. Le richieste sono sempre le stesse: dare una impronta “italiana” a tutte le soluzioni proposte. Quindi dal nome delle vie e delle piazze fino a elementi architettonici -amano i portali di ingresso ai nuovi insediamenti per esempio- delle follies che devono ricalcare nelle forme, materiali e colori, gli omonimi italiani. Ecco allora Ponte Vecchio a Firenze che diventa il portale di ingresso, la Lanterna di Genova che diventa il luogo dove scattarsi delle foto, la piazza del Palio di Siena che diventa la spianata per gli eventi e i concerti, il campanile di Venezia che svetta sopra una piazza/tetto per uno shopping mall. Uno di questi nuovi villaggi sul mare è una replica quasi perfetta dei paesini delle Cinque Terre. Il costruttore ha assunto una società americana specializzata in parchi a tema e ha chiesto loro di fornire un abaco con le caratteristiche specifiche dei colori, materiali, altezze degli edifici, larghezze delle strade e arredo urbano. Gli architetti degli edifici sono spagnoli, l’illuminazione è curata da una società inglese e noi abbiamo fatto l’urban design e il landscaping. Dalle essenze mediterranee alle panchine tutto parla di Liguria, costiera amalfitana con qualche spruzzata di Sicilia, Puglia, Toscana e Roma. E’ l’apoteosi del assurdo architettonico. Eppure funziona. Le abitazioni vanno a ruba, prezzi altissimi e i turisti fioccano a godere dello shopping (tutte le abitazioni al piano terra sono negozi o bar/ristoranti). Inoltre guardando una foto presa dal mare sembra effettivamente di essere in Italia… Non è facile giudicare con i nostri occhi di occidentali questo fenomeno. A parte la scarsa aderenza agli originali, l’adattamento ai costumi abitativi locali fa sì che veramente l’italianità si fermi alle facciate degli edifici. Oltre che essere una Minitalia poco coerente, è infatti anche una grande Disneyland del divertimento degli adulti. Di tutte le richieste che i costruttori ci fanno quella più importante è dare al loro ufficio marketing/vendita una narrativa, una storia da vendere ai loro clienti. Io sono diventato lo story teller, l’inventore delle favole, lo scrittore di racconti brevi che devono convincere il compratore finale più che il nostro cliente costruttore. La cosa interessante è che le mie storie vengono poi interpretate, e a volte stravolte, dai miei colleghi vietnamiti i quali, sia pur ottimi architetti paesaggisti, hanno poca sensibilità per la coerenza filologica e tendono ad “ingigantire” la mia narrativa che già è una favola… Poco importa se proponendo un nuovo insediamento al mare, la cui organizzazione è basata sulla storia delle Repubbliche Marinare, poi ci infilano le geometrie dei gioielli -diamanti, rubini e pietre preziose-, la storia dell’antico Vietnam e qualche mito locale. Tutto fa brodo per cercare di impressionare e più proposte si fanno, non importa se incoerenti tra di loro e a volte addirittura incompatibili, più chance ci sono di ottenere il progetto. Non credo ci sia una morale. O per lo meno una morale semplice. Possiamo forse dire che quanto fatto in Asia è quello che venne fatto a Las Vegas già molti anni fa: ricreare in un solo luogo l’iconografia delle architetture del pianeta per “rimuovere” i visitatori dal contesto locale e portarli in questo mondo fiabesco con lo scopo precipuo di far spendere soldi. Possiamo anche scomodare Benjamin e dire che le copie sono l’usufruire democratico e popolare delle opere d’arte. In questo senso, sicuramente inconsapevolmente, stiamo andando verso una democratizzazione dell’architettura? Non so, intanto oggi devo inventare una storia per un altro insediamento sul mare, e il chairman della società che ci potrebbe commissionare il progetto ama Barcellona…dovrò inventarmi qualcosa…forse posso spiegare che mi chiamo Godi di cognome, come Gaudì in catalano…ma non so se funzionerà…