Autore: Massimo Locci
pubblicato il 21/12/2020
nella categoria Contro-Architettura di Massimo Locci
Venerdì 18 dicembre 2020 sono stati assegnati i Premi IN/ARCHITETTURA 2020, promossi dall’In/arch e dall’ANCE. In un periodo pluriennale di crisi del settore edilizio, come pochi in passato, acuitosi ulteriormente nel nostro Paese a causa del Covid 19, le opere candidate e selezionate rappresentano, comunque, un panorama di sicuro interesse. In tal senso il premio costituisce una significativa ricognizione sull’architettura di qualità. “Valorizzare la qualità delle trasformazioni del territorio – si legge non a caso nel comunicato stampa - è la strategia per immaginare un rilancio del Paese, proponendo modelli progettuali nuovi, innovativi, efficienti, eredi della nostra storia, ricchi delle nostre migliori professionalità”. In questa edizione la giuria, composta tra gli altri da Aldo Colonetti, Stefano Casciani, Monica Alejandra Mellace e da Carme Pinòs, ha conferito riconoscimenti per opere realizzate in questo quinquennio in sei differenti categorie, premiando, in particolare: il Memoriale della Shoah di Milano di Morpurgo de Curtis Architetti Associati, la Torre Bianca di Lorenzo Grifantini, le Residenze temporanee al Cappuccino Vecchio di Massimo Acito – OSA architettura, la cellula Microutopia di Francesco Ursitti, la Scuola Enrico Fermi di BDR bureau, la Lavazza Headquarters di CZA – Cino Zucchi Architetti, il Museo degli Innocenti di Ipostudio. Inoltre il premio Bruno Zevi per la diffusione della cultura architettonica è stato conferito alla Fondazione Prada e il Premio alla Carriera a Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Come anticipato nel mio precedente contributo sulla PressTletter, per commentare il meritatissimo riconoscimento e la ricerca dell’architetto siciliano vorrei riproporre uno stralcio di un mio saggio, uscito solo in inglese per "Architectural Design" del maggio 2007, numero monografico curato da Luigi Prestinenza Puglisi e dedicato all'architettura italiana: Italy, a New Architectural Landscape. “Tre sono le caratteristiche dell’architettura di Giuseppina Grasso Cannizzo: scomposizione dello spazio in microcosmi architettonici e loro ricomposizione in una nuova unità di forma; distinzione e contrapposizione sintattica tra le parti; riduzione all’essenziale delle matrici progettuali, compositive, geometriche, tecnologiche, materiche e di segno. Aspetti tutti interconnessi e permeati dall’adesione a un rigoroso statuto logico- concettuale e contaminato da una profonda sensibilità per l’arte, per la storia dei luoghi, per il paesaggio. Punti di forza che anche per Luigi Prestinenza Puglisi coincidono con “l'ascolto per il contesto e per la preesistenza ma senza alcuna concessione mimetica; una certa spersonalizzazione del lavoro che porta al rifiuto di un linguaggio arzigogolato e intimista; l'attenzione al mondo dell'arte e il continuo confronto con gli artisti”. Una ricerca originale e colta quella della Grasso Cannizzo, lirica, selettiva e concreta al tempo stesso. Da perfezionista ostinata e con un grande carisma, tanto da convincere i propri committenti ad aderire a principi di rigore funzionale e di astrazione formale assoluto, sembra voler portare avanti la missione di Theo van Doesburg “ l’elementarismo (è) un movimento che si propone di rifondare il mondo”. Certamente ha sposato la poetica dell’essenzialità e del minimalismo espressivo, evidente anche nella modalità di rappresentazione e comunicazione dei contenuti del progetto. Dopo un lungo e faticoso processo di rielaborazione delle valenze morfologiche, tecnologiche e costruttive dei modelli razionalisti e funzionalisti del Novecento, ha definito una propria cifra distintiva coincidente con il riscatto del valore emozionale che integra il principio d’ordine, un lavoro di sedimentazioni antimicetiche, immagini rarefatte e pathos. In sintesi un linguaggio che si nutre di contaminazioni e contrapposizioni, tra nuovo intervento e preesistenza, tra rigore geometrico e sistemi costruttivi, tra chiarezza dell’impianto e ridondanza dell’apparato decorativo. Per Luciana Rogozinski, che introduce la prima pubblicazione strutturata sull’autrice siciliana, a cura di Chiara Rizzica per i tipi di Librìa, ”l’architetto depista l’avversario scegliendo come perno costruttivo il paradosso del massimo controllo della strumentazione logica per ottenere il massimo di libertà al movimento possibile(…) lo spazio deve mantenersi malleabile e plastico per assecondare l’imprevisto”. Giuseppina Grasso Cannizzo si forma all’università di Roma nel corso di restauro di Franco Minissi, con cui a metà degli anni settanta si laurea e ne diventa assistente. Si trasferisce poi a Torino per lavorare nella più grande società d’ingegneria italiana, qui acquisisce sia le ragioni del realismo e le logiche della produzione. In contemporanea è coinvolta nella dimensione concettuale, nella diversa chiave interpretativa della realtà e nelle strategie di comunicazione degli artisti d’avanguardia che, negli anni ’80, si riunivano nel cenacolo di Germano Celant. Ora da venti anni opera in Sicilia e produce piccole opere di grande intensità, spazi costruiti con la luce, confrontandosi senza timori reverenziali con le migliori esperienze internazionali. Molti gli interventi di ristrutturazione interna e di ampliamento di unità residenziali (case GNV, PLV a Vittoria, GNS a Scoglitti e SPR a Ragusa) o commerciali (ex-albergo Italia a Vittoria, Cafhé Mangiarebere a Catania) inserite nei centri storici siciliani; in genere piccoli edifici dei primi del novecento, caratterizzati da un linguaggio tradizionale e un decoro moderatamente floreale. Con grande sensibilità l’architetto svuota l'interno, liberando lo spazio per nuove configurazioni più fluide, e salva l’esterno cui accosta le nuove addizioni con un disegno rarefatto, interpretativo delle linee originarie della facciata. Un’operazione di riscrittura integrale dell'immagine nel rapporto con lo spazio urbano e di quello interno. Attraverso lastre e piani sfalzati, doppie altezze, pareti trasparenti e scorrevoli, inserimento di nuovi volumi eterogenei, ponti aerei, corpi scala leggerissimi, diaframmi, filtri tra interno ed esterno, Giuseppina Grasso Cannizzo modica totalmente la configurazione morfologica e i sistemi distributivi. Il processo di frammentazione, pur nel gioco di virtualità percettive ed effetti talvolta scenografici, è rigorosissimo: garantisce un’assoluta chiarezza logico-funzionale tra spazi serviti e spazi serventi e dichiara, in ogni sua parte, lo statuto della diversità. Nella Cantina DPN, emblematica del suo modo di intendere l’architettura come spazio di movimento, l’architetto affronta inoltre il tema del rapporto tra architettura e paesaggio; nello specifico la campagna di Noto, con pochi elementi ambientali significativi, sia come elementi morfologici naturali, sia come preesistenze antropiche. Un sito agricolo con un solo casolare e un’unica valenza: la vista della città barocca all’orizzonte. L’obiettivo, pienamente raggiunto, era quello di trasformare un contesto quasi anonimo in un luogo eletto; si richiedeva infatti un approccio sensibile capace di non snaturare e insieme di rafforzare le specificità dell’ambito d’intervento. L’edificio è strutturato per rispondere alle moderne modalità di lavorazione del vino, che prevedono fasi di produzione organizzate su più livelli in verticale. Il nuovo volume è prevalentemente interrato in modo da potersi inserire con discrezione nel paesaggio circostante; dalla copertura del prisma incastonato nell’altura, si dominano tutta l’azienda e lo skyline di Noto. Nonostante l’intervento non sia ancora completato, la logica dell’inserimento nel paesaggio e di strutturazione interna è chiaramente leggibile. Si può compiutamente valutare la sequenza di operazioni di modellazione del terreno, e individuare i riferimenti colti all’architettura ipogea, testimonianza di una tradizione italiana e siciliana in particolare del costruire scavando e detraendo materia dal blocco tufaceo, ma anche all’arte minimalista e ambientale. Non è difficile intravedere nel ridisegno e nella ricomposizione del profilo della collina un richiamo agli interventi di land-art di Morris, Serra, Sol Le Witt. Un percorso parte dall’alto, dai vigneti superiori e dall’edificio rurale, s’incunea in uno stretto varco tagliato nella roccia, penetra nel contenitore, definisce un lunghissimo belvedere e fuoriesce in basso dissolvendosi nuovamente nell’ambito di produzione. La promenade architecturale, pensata per spiegare il ciclo di lavorazione, non interferisce con gli spazi tecnici, ma entra in contatto sensoriale solo in tre punti, segnati da tre oggetti posizionati a quote diverse. In alto il percorso si allarga in un volume sospeso in ferro e rete metallica; alla quota dei vinificatori, lambisce il volume di vetroresina del laboratorio, inaccessibile ai visitatori ma percepibile attraverso piani trasparenti; infine nella bottaia attraversa una teca di cristallo che racchiude uno spazio climatizzato per la degustazione. Anche questo intervento lavora sui valori della complessità e della strutturazione dello spazio: l’approfondimento dei dati paesaggistici e di contesto esclude, però, un’identità localistica, anzi aderisce pienamente a orientamenti e linguaggi internazionali, del passato e della contemporaneità. Tra i riferimenti storici di Giuseppina Grasso Cannizzo si possono citare la scomponibilità e misurabilità dello spazio rinascimentale, la polisemantica barocca, ma soprattutto è evidente la relazione con Michelangelo con il suo processo detrattivo di costruzione della forma per “via di levare”, come nella casa SPR a Ragusa. La leggerezza, la flessibilità e l’essenzialità rimandano, viceversa, alla cultura giapponese e alla sua tradizione del costruire spazi fluidi e trasparenti. Altri legami si possono rintracciare con correnti contemporanee e autori molto diversi, da Loos ai Neoplasticisti, dal Razionalismo italiano a Chareau, da Mollino a Scarpa.” Dal 2007 Giuseppina Grasso Cannizzo ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, le sono state conferite più lauree Honoris Causa, le sono stati dedicati importanti studi monografici e saggi. Ma non si è fatta condizionare dalle logiche della cultura ufficiale, dell’Accademia e delle grandi istituzioni; soprattutto ha continuato a realizzare opere di assoluto rilievo. L’architetto di Vittoria, all’opposto delle grandi firme contemporanee, non cerca facili consensi e con ostinatezza e carisma persegue i suoi obiettivi, progettando poetici interventi nel delicato contesto dei centri storici urbani siciliani. Opere fuori dalle mode che si segnalano per l’approccio concettuale e il rigore metodologico, per la rarefazione linguistica e l’assoluta astrazione formale. In copertina: Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Crediti foto: https://www.ragusanews.com/2016/07/09/cultura/architettura-la-coerenza-di-giuseppina/68729