Autore: redazione
pubblicato il 18/10/2020
nella categoria Recensioni Testi, Senza categoria
L’elemento più stimolante di una riflessione composta da poche ma dense pagine, è rappresentato dalla capacità di andare oltre i margini della disciplina. Il testo, che include contrappunti di Andrea Branzi, Nicola Pugno e Carlo Ratti, suggerisce nuovi input che per percorsi carsici ed improvvisi, provengono dall’arte, dalla filosofia, dalla poesia. Il fine: produrre, insieme alla rielaborazioni di opere note, una diversa idea di progetto dello spazio fisico che tenga conto e faccia propri differenti punti di osservazione. Periscopi capaci di scrutare tra le onde di un mare in burrasca i territori di frontiera. L’autore, docente di Urbanistica e di Progettazione Architettonica, ci ricorda che in questi anni di nuovo millennio non si è realizzato quel cambiamento che abbiamo registrato su altri versanti. Ad iniziare dalle grandi innovazioni tecnologiche. Il mutamento avrebbe dovuto riguardare anche le forme delle abitazioni. Per non parlare dello sviluppo delle città, dove si pratica ancora lo logica dello zoning. Le abitazioni, tranne pochi dettagli di scarso significato, non sono minimamente cambiate. Ancor meno è cambiata la maniera di progettarle e l’immagine che propongono. A rafforzare questa consapevolezza critica basta mettere a confronto la Torre Tetraedrica di Luis Kahn del 1976 con la Hearst Tower di Foster + Patners del 2006 o l’Edificio polifunzionale dello Studio Passarelli (1965), per non parlare del lavoro dei SITE, con il Bosco verticale di BoeriStudio del 2014 che è stato realizzato cinquant’anni dopo. Stiamo vivendo, per dirla con Ricci, come in un lungo presente. Ora, in questi anni feroci e inconcludenti, non si riesce a mettere a punto un’idea di futuro. In particolare per le forme dell’abitare che continuano ad essere sempre le stesse. Eppure tutto sta cambiando e in modo più veloce di prima. L’innovazione si realizza negli spazi immateriali della rete invece che nello spazio fisico dove vivono donne e uomini in carne e ossa. I grandi mutamenti che hanno coinvolto negli ultimi cinquant’anni l’ambiente, l’economia e la società non hanno scalfito l’architettura e per comprendere meglio il mondo in cui viviamo l’autore ci invita a ragionare sulle questioni centrali che hanno a che vedere con il tempo, ben consapevole che Time is out of Joint, con lo spazio e con il senso per proporre, attraverso il progetto, significative schegge di qualità, emancipazione sociale, cultura, bellezza e felicità. Qual è la strada ? Nel nostro Paese esiste un numero di esercizi commerciali e capannoni industriali abbandonati, recentemente cresciuti per effetto del Covid, per non parlare della presenza di circa 6 milioni di case vuote su 10 milioni di immobili “sfitti”. Ed ancora, 20 milioni di mq di aree ferroviarie non in uso, 20.000 km di strade in abbandono di cui 2600 inutilizzati. Si può quindi constatare che la questione dello sviluppo delle città non riguarda la crescita ma la resilienza e la qualità ambientale. Non abbiamo bisogno della costruzione del nuovo, ma di rendere efficiente e con nuovi significati gli edifici esistenti facendoli diventare l’asse centrale, il nuovo punto di riferimento della produzione edilizia, come finalmente si inizia a fare. Per fare ciò è necessaria un’architettura narrativa che, come scrive Giancarlo De Carlo, è capace di ascoltare, accogliere, annettere quelle che sono le tensioni della città e dei suoi abitanti. Un’architettura che deve farsi “processo” scardinando la visione consolidata dell’edificio in un unicum perfetto e concluso Mario Pisani In copertina: Mosè Ricci, Habitat 5.0 L’Architettura del Lungo Presente, Biblioteca Universitaria Skira, Milano 2019, p. 104 con numerose illustrazioni a colori, € 16,00.