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Una Sperimentale ambizione utopica: “Casa Albero”, Perugini – di Massimo Locci

Una Sperimentale ambizione utopica: “Casa Albero”, Perugini – di Massimo Locci

Autore: Massimo Locci
pubblicato il 28 Settembre 2020
nella categoria Contro-Architettura di Massimo Locci

Venticinque anni fa, il 19 settembre, ci ha lasciato Giuseppe Perugini (1914- 1995), un grande architetto che ancora attende il giusto riconoscimento. Ad oggi, fatta eccezione per una piccola pubblicazione da lui stesso curata (Giuseppe Perugini, Progetti e Ricerca, Edizioni Nuova Dimensione, Roma 1975), non esiste una pubblicazione sistematica sul suo lavoro. Nel 2016 avevo curato, alla Casa dell'Architettura di Roma, un ciclo di mostre-convegno sulla scuola romana, denominato Generazione '15-'18, che intendeva rileggere l'opera degli architetti nati in quell'arco temporale (Giuseppe Perugini e, in parte, su Uga de Plaisant, Federico Gorio, Maurizio Sacripanti, Franco Minissi e Mario Fiorentino), tutti figure di riferimento per  intere generazioni di architetti. Sentivo la necessità di leggere criticamente la loro esperienza e di far emergere la qualità della ricerca di quegli anni, molto legata alla sperimentazione internazionale (linguistica e tecnologica) ma altrettanto attenta allo spazio di vita delle persone, alla ‘misura d’uomo’, alla valenza urbana dell’intervento. Il 19 settembre di quest’anno il figlio Raynaldo, in collaborazione con Open House Roma ed Emanuela Petrucci, ha organizzato una visita alla ‘Casa Albero’ a Fregene, intervento sperimentale e d'avanguardia ideato e realizzato (1968 -1971) per se stessi da Giuseppe Perugini e Uga De Plaisant, con la collaborazione del giovanissimo Raynaldo. “Essendo tutti e tre architetti - evidenzia quest’ultimo -  era un po’ il giocattolo di famiglia, nel momento della realizzazione ognuno di noi proponeva soluzioni e nascevano discussioni…era una sorta di grande laboratorio… immaginatevi un plastico in scala reale! “ Dopo la felice esperienza nel concorso In/Arch - Domosic e la vittoria al concorso In/Arch – FINSIDER (1967), entrambi sui temi della prefabbricazione e della sperimentazione residenziale, con telai strutturali e cellule liberamente inserite, Giuseppe Perugini e Uga De Plaisant immaginano un’applicazione diretta (e a proprie spese) dei criteri innovativi proposti nelle due consultazioni.  Nelle motivazioni della Giuria (composta tra gli altri da Lucio Passarelli e Bruno Zevi) si evidenzia che la “cellula abitativa è intesa come matrice di organismi di crescita e (… la proposta) spicca per originalità, supera il dogmatismo e recupera le funzioni particolari, consentendone la libera componibilità”. Nel numero di dicembre 1967 della rivista L’Architettura c/s si può apprezzare l’innovativo progetto (in quel caso immaginato in acciaio), caratterizzato da volontà espressive e tecnologiche legate a logiche di “leggerezza, trasparenza, alto grado di coibenza, grandissima libertà” e infinite possibilità di aggregazione. Senza mai saturare la composizione morfologica, anzi essa è totalmente aperta e disponibile per nuovi ampliamenti e configurazioni, il gruppo sviluppa il tema del ‘non finito’ a cui Perugini ha dedicato gran parte della sua ricerca. I telai strutturali/impiantistici sono, inoltre, elementi di misura dello spazio esterno e del paesaggio, strumenti di lettura compositiva in base a precisi tracciati ordinatori che ha sempre applicato, a cominciare dal Memoriale delle Fosse Ardeatine. Il progetto  di Fregene è, invece, una architettura brutalista con l’uso integrale del calcestruzzo grezzo in facciata e negli arredi interni, sia perché consentiva una ‘rinaturalizzazione’ nel tempo della materia, come di fatto è avvenuta, sia perché consentiva una prefabbricazione parziale in situ. Ingegnosa, in tal senso, è la realizzazione degli elementi non stereometrici (composti da due semi-sfere) gettati direttamente sul terreno sagomato e poi collocati nella aggregazione in opera. La costruzione, in deciso contrasto con le tradizionali abitazioni circostanti, presenta una tessitura di travi e pilastri a vista che sostengono gli aerei volumi , come se facessero parte, allo stesso tempo, del mondo artificiale e di quello naturale. Per rimarcare l’idea che i singoli elementi cubici potessero essere concretamente prefabbricati, i progettisti scelgono di evidenziare i punti di sollevamento/fissaggio e la quadripartizione delle cellule, inserendo giunti vetrati nei pavimenti, nelle pareti e nei soffitti. Inoltre la grande combinazione morfologica è garantita da poche variazioni effettive dei moduli, per dimensioni e disposizioni. Gran parte della ricchezza e molteplicità percettiva deriva dagli elementi secondari come gli infissi, dipinti di rosso come tutti gli elementi in ferro della casa, che riprendono la composizione generale, reiterando il motivo del cubo e della costante modificabilità dei componenti. La stessa scala di accesso è concepita come una passerella mobile, simile a quella di un piroscafo, che si può anche alzare, isolando completamente gli abitanti dal mondo esterno. Le motivazioni e i disegni tecnico/simbolici di questo interessantissimo intervento, che Perugini stesso ha definito “Un esperimento di architettura”, ma forse anche di ‘scultura abitabile’ (Perugini era venuto in Italia dall’Argentina per studiare all’Accademia d’Arte) sono raccolti in una pubblicazione (La casa albero. Un esperimento di architettura, GB Editoria 2018), con saggi di Giuseppe e Raynaldo Perugini, che ingloba anastaticamente il pamphlet del 1983, firmato dallo studio 3P (cioè i tre Perugini). Oggi la Casa Albero è disabitata, è stata più volte oggetto di atti vandalici e necessita sia di importanti opere di restauro, sia di una destinazione funzionale che ne garantisca tutela e valorizzazione. Massimo Locci   In copertina: Casa Sperimentale, Perugini, Fregene. Credito foto: Oliver Astrologo