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Sotto-traccia. L’interpretazione nel progetto di architettura | Pina Ciotoli

Sotto-traccia. L’interpretazione nel progetto di architettura | Pina Ciotoli

Autore: Diego Barbarelli
pubblicato il 17 Maggio 2020
nella categoria Concorso Giovani Critici 2020

Testo edito pubblicato su (in fase di pubblicazione) Architettura e Città, Architettura Contemporanea e Contesto storico, 2020

Il rapporto tra architettura contemporanea e contesto storico si è profilato – soprattutto negli ultimi decenni – come conflittuale e sembra vissuto come tale dagli addetti ai lavori e non. La scollatura tra la funzione civica dell’opera e la collettività a cui è rivolta è dovuta alla capacità dell’architettura di risvegliare emozioni legate alla sfera della memoria. Per tal ragione, l’analisi dell’insieme di relazioni che il progetto instaura con il contesto presuppone una conoscenza più che adeguata dell’ambiente culturale in cui il manufatto è inserito, in quanto potrebbe essere foriero di tematiche inerenti l’identità, l’eredità e la tradizione.
È bene sottolineare come i dualismi nuovo-antico e passato-futuro non possano essere risolti ricorrendo al solo parametro temporale: è infatti necessario esaminare gli aspetti legati alla memoria e, dunque, alla possibilità di evocare, nella mente dei cittadini, un significato collettivamente “valido” e comunemente “accettato”. La valenza collettiva, parafrasando le parole di Alois Riegl, altro non è se non uno stato d’animo e, come tale, è in grado di accendersi in ogni uomo, senza distinzione di ceto e di formazione culturale. Questo passaggio è basilare perché, come spesso testimoniato da particolari avvenimenti nella storia, oggetti e architetture di cui non siamo in grado di rintracciare la forma originaria, possono diventare simboli di una ricerca identitaria sostenuta dalla collettività tutta.
Studiare le tracce tuttora esistenti di un insediamento urbano scomparso, oppure ripercorrere le fasi formative di un edificio implica uno sforzo interpretativo, espresso, nel campo dell’architettura, principalmente attraverso il disegno e il progetto. Lo strumento grafico diventa, pertanto, il mezzo attraverso cui architetti e artisti manifestano la “propria” visione dell’antichità, dando nuovo valore ai resti e alle rovine; il progetto costituisce, poi, la prova concreta di questa interpretazione – al contempo – del passato e del presente.
Anche la natura può, in alcuni casi, avere un valore storico e, attraverso un processo di riconoscimento collettivo, essere celebrata quale monumento. Uno dei casi più emblematici, in tal senso, è costituito dalla valenza monumentale che, nel corso del XVIII secolo, ebbe la scoperta di alcuni fossili di mastodonte americano nei pressi del fiume Hudson. Tali elementi, difatti, presentavano un insolito sviluppo dimensionale, così da essere catalogati da alcuni paleontologi europei quali “deformità” dovute ad una degenerazione anatomica degli animali. Il caso suscitò grande interesse tra gli specialisti e i cultori di storia naturale, tanto che anche il futuro presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson ebbe modo di parlare del ritrovamento nei suoi scritti. Quello che colpisce di tale scoperta è l’insieme di interpretazioni e valutazioni sui resti di mastodonte. L’impossibilità di conoscere, con gli strumenti dell’epoca, il periodo storico in questione aveva determinato una seria difficoltà nel catalogare e comprendere in maniera scientifica i pochi dati fenomenologici rinvenibili dai fossili. Pertanto la straordinaria grandezza, ovvero una delle poche tracce evidenti in tali resti, venne valutata tralasciando il dato scientifico e concentrandosi, invece, sulla eventualità che fosse un carattere ricorrente anche in altri animali. Così facendo il parametro dimensionale divenne una sorta di paradigma con cui interpretare anche il paesaggio e altri aspetti del Nuovo Mondo; l’eccezionalità era stata generalizzata e, mediante la vasta eco che tale vicenda ebbe anche in Europa , la grandezza stra-ordinaria divenne un tratto identitario in cui riconoscersi in quanto Americani. L’American Incognitum (questo il nome iniziale con cui venne indicato l’animale) era diventato il tramite attraverso cui i popoli del Nord America identificavano nel proprio ambiente naturale i caratteri monumentali che, solitamente, erano attribuiti a luoghi e spazi architettonici. Del resto, «negli anni che precedono e seguono la rivoluzione, per gli americani l’Incognitum diventa un poco alla volta il simbolo di una natura affatto diminuita, ma piuttosto selvaggia e grandiosa in cui riconoscere il senso della propria identità e il presagio di una futura supremazia» .
L’interpretazione – secondo il significato etimologico – indica rendere comprensibile ciò che è oscuro, e nella sua accezione originaria è applicabile al mondo architettonico. In tal senso è utile parlare di alcuni progetti che si sono confrontati con una incognita archeologica, ovvero tracce di opere provenienti dal passato di cui, nonostante i molti disegni e le diverse interpretazioni, non siamo comunque in grado di capire appieno la funzione e la forma complessiva. Si pensi, ad esempio, alle numerose – e talvolta discordanti – versioni del Palazzo di Spalato oppure all’eccezionalità del teatro romano di Verona. Nel caso di Spalato il processo di modificazione ha trasformato il Palazzo da singolo edificio speciale in tessuto urbano; tale cambiamento è però evidente soltanto in alcune tracce murarie e, nonostante questa forte “impronta”, non siamo in grado di comprenderne la fenomenologia originale.
Il teatro di Verona, collocato lungo la riva sinistra dell’Adige, subì cambiamenti drastici durante l’epoca medievale in cui il manufatto subì un processo di modificazione analogo a quello di Spalato. L’edificio speciale, infatti, fu utilizzato quale sostrato per un quartiere di abitazioni. Diversamente da quanto accaduto per il Teatro di Pompeo a Roma, però, l’opera non è perfettamente leggibile all’esterno, ragione per cui l’edificio, nonostante il ruolo strategico svolto durante l’epoca romana e nei primi decenni dell’anno Mille, cadde nell’oblio fino al XIX secolo quando fu scoperto da un ricco mercante veneziano. Architetti quali Palladio e Caroto cercarono di dare una propria interpretazione dell’edificio, e tali versioni risultano inconciliabili con le dimensioni effettive del teatro e con la sua estensione fino al sistema portuale ad esso collegato.
L’interpretazione ha inoltre una innata forza progettuale, riuscendo a plasmare architetture dal forte valore identitario. Molto spesso il richiamo viene da una pavimentazione che “ricorda” la funzione originaria di un determinato spazio, dunque la sua vocazione sociale ed economica, oppure la presenza di un torrente interrato e di un tracciato viario. Operazioni simili sono state condotte dallo studio Clab architettura in un interessante progetto di riqualificazione urbana a Peschiera del Garda, in cui l’acqua diventa nuovamente un elemento vitale per la cittadina. Le sedute, i materiali utilizzati, oltre all’apertura verso la vecchia darsena, sono dunque uno stimolo per gli abitanti a riscoprire un luogo che storicamente era stato centrale per il borgo e, a seguito di cambiamenti introdotti dal XVII secolo e radicalizzatisi nel secolo scorso, era ormai divenuto marginale. Il legame con l’acqua inoltre, è marcato da una differente pavimentazione dalla forma irregolare e dal colore differente: questa è la traccia del vecchio canale di accesso alla darsena prima di essere interrato.
Per il significato che riveste, l’interpretazione non assume mai forme uniche e inflessibili; essa stessa è sottoposta ad un processo di modificazione in grado di alterarne il paradigma. Il progetto di architettura inserito all’interno di un contesto storico, agendo a scala territoriale, innesca una serie di strategie della riqualificazione in grado di dare nuova semantica ai luoghi della città.
Del resto, sin dallo storico numero di Casabella che per primo aveva posto attenzione a tale tematica, la modificazione connota fortemente le ultimi 4 decadi dell’architettura italiana, e stabilisce in maniera quanto più chiara possibile, come anche il processo di creazione non abbia inizio dal nulla. Il luogo della creazione è infatti per sua natura plurale e predisposto a molteplici “campi di possibilità” . Il tal senso il fare architettura implica addentrarsi in un processo operante di cambiamenti, al cui interno ri-elaborare e classificare le componenti di un’opera più vasta.

DATI PERSONALI:
Nome:Pina (Giusi)
Cognome: Ciotoli
Data di nascita: 24 settembre 1986
Professione: Architetto