Autore: Diego Barbarelli
pubblicato il 17/05/2020
nella categoria Concorso Giovani Critici 2020
Testo inedito
Se è vero che natura e artificio costituiscono l’eterno dualismo che abita l’uomo è ugualmente vero che l’architettura ne rappresenta la massima espressione. All’ossimoro teorico, figlio di speculazioni intellettive, segue la costruzione. Inequivocabile. Ma se, derogando la regola che tiene ancorata ogni cosa al piano di calpestio, si mima la natura allora ciò che ne scaturisce è un oggetto poliedrico e sentimentale. Questo il caso del padiglione dell’Esprit Nouveau di Bologna del maestro svizzero Le Corbusier, immutato archetipo del moderno. Materia e forma, prima antagoniste, ora collaborano alla mise en scene di una macchina per abitare profondamente intima.
L’intento di questo saggio, per ovvie questioni di economicità di argomentazioni e complessità tematiche, non ha certo la pretesa di riassumere quella che, a distanza di un quarantennio, ha rappresentato una delle opere più emblematiche e altrettanto travagliate della produzione del maestro svizzero Le Corbusier: il padiglione dell’Esprit Nouveau di Bologna. Sulla questione della realizzazione delle opere postume è interessante notare come, a seguito dell’acceso dibattito innescatosi tra gli accademici circa il valore delle architetture post mortem, si era deciso di seguire la linea tracciata dallo storico e critico Sigfried Giedion incline a mantenere inalterate le scelte progettuali del maestro svizzero. Avvicinandoci a grandi passi all’oggetto di questo saggio risulta prezioso, sia per contributi proposti che ai fini cronologici, il convegno internazionale organizzato dall’Università di Architettura di Bologna sul tema Problematiche dell’architettura e dell’urbanistica odierna in relazione con i processi di industrializzazione, occasione in cui l’amministrazione comunale conferisce nuovi incarichi per la progettazione di nodi fondamentali per lo sviluppo della città come l’area fieristica in cui sarà ricostruito il padiglione in questione. È bene notare come il tema centrale del convegno facesse leva sul dualismo tra prodotto d’architettura e processi di automazione e produzione in larga scala, due tra gli aspetti peculiari del padiglione dell’Eprit Nouveau. D’altra parte se, per un momento, si bypassa la mera concezione didascalica di elementi comuni reiterabili che permettono una qualsiasi categorizzazione di genere, è possibile scorgere la vera essenza del padiglione. In maniera riduttiva, ma esaustiva, potremmo dire che l’intero iter progettuale ruota intorno a tre aspetti fondamentali: il prototipo, l’ideologizzazione del contenitore e il dualismo tra prodotto seriale e manufatto unico. Seppur non in maniera univoca, il padiglione dell’Esprit Nouveau rappresenta una macchina per abitare unica nel suo genere e del tutto replicabile in maniera seriale e modulare. L’ossimoro concettuale individua perfettamente due cardini della poetica lecorbusierana, continuamente altalenante tra perizia progettuale, scrupolosa analisi proporzionale e certosina cura del dettaglio intrisa di lirismo. Per quanto afferisce il secondo punto dei tre citati, il tema dell’ideologizzazione del contenuto si esplica magnificamente nello studio dell’arredo interno e della disposizione degli stessi. La modularità degli elementi, l’essenzialità dei materiali scelti e il posizionamento degli stessi, permettono una connotazione dello spazio suggestiva ma sobria specie quando utilizzati come filtri o per definire spazi di pertinenza privata – in grado di esaltare il plasticismo della composizione senza depauperarla della componente accogliente propria della casa mediterranea. A garantire l’eccellenza del prodotto finale la stretta collaborazione con Cassina coadiuvata dall’eccellente supervisione di Filippo Alison per la realizzazione del mobilio interno. Terzo e ultimo aspetto attiene alla capacità del progetto architettonico – meglio della prassi architettonica – di configurarsi sia come modello ideale di oggetto per abitare sia come parte di un sistema aggregativo più complesso e articolato. Sono anni in cui gli architetti moderni s’interrogano sul ruolo dell’architettura e certi accorgimenti adottati in questo progetto, come la scala posteriore esterna, reminiscenza delle stecche a ballatoio, o la presenza di spazi aperti semi coperti e di pertinenza mista, oltre ad amplificarne la permeabilità ne esaltava il dato sociale. Dal punto di vista teorico, pur trattandosi di una ricostruzione del modello già realizzato in passato, la possibilità d’incorrere in nostalgiche derive anacronistiche era concreta. Certamente il tema dell’identità formale era assai caldo e dibattuto. Dibattito affrontato attingendo a piene mani dal bagaglio conoscitivo e di esperienze acquisito presso i numerosi cantieri disseminati sul tutto il territorio emiliano e firmati da illustri architetti di sicura tendenza moderna; senza escludere il cospicuo corpus grafico e bibliografico acquisito presso la Fondation di Parigi. Altra vicenda interessante riguarda il luogo in cui attualmente il padiglione è posizionato anch’essa oggetto di dibattito relativamente al rapporto tra sito e opera. Collocato all’interno della vasta area a parco prospiciente gli ingressi del polo fieristico regala suggestivi scorci prospettici capaci di esaltare certi espedienti come gli ombreggianti scorrevoli, posizionati nella zona a patio, che permettono la continua modularità della vista sullo stesso. L’impaginato esterno denuncia, immediatamente, gli stilemi dell’abecedario lecorbusierano già noto alla cultura architettonica del tempo. Il solo impaginato esterno è già sintesi degli stilemi del lessico modernista. La perfetta giustapposizione di volumi plastici, l’uso di superfici vetrate a tutta altezza e la ponderata raffinatezza degli interni, rappresentano la crasi tra la meticolosa prassi del comporre – tutta razionalista – e lirismo purista nei cromatismi parietali e materici. Sul prospetto principale, dove domina il bianco dell’intonaco, campeggia la sigla “EN” patronimico della rivista fondata nel 1920. I restanti due prospetti laterali pur aprendosi entrambi sul parco circostante dialogano, con lo stesso, in maniera differente. Infatti, se da un lato la profonda bucatura che lascia intravedere parte dell’andamento interno e il grande occhio in copertura da cui emerge un alto fusto arboreo, permette il continuo scambio dialettico tra interno ed esterno, dall’altro la tripartitura superficiale intervallata da corpi finestrati regolari è interrotta dalla scala che, correndo lungo tutto il prospetto e poggiante su di un unico pilastro, permette l’accesso diretto al duplex. Alla stereometrica regolarità dei tre prospetti, in cls armato prefabbricato, si contrappone il volume semi curvo, quasi absidale, in adiacenza della parete perimetrale dell’abitazione vera e propria, un sofisticato diorama che permetteva al fruitore di comprendere il rapporto tra singola unità abitativa e sistema aggregativo generale. Proseguendo verso il ventre del manufatto, si è accolti nel grande spazio a soggiorno a doppia altezza, caratterizzato dalla grande vetrata continua che mette in risalto l’arredo a sospensione. Tramite il corpo scala interno è possibile accedere ai locali di stretta pertinenza dell’alloggio. La distribuzione interna, connotata dall’uso di colori differenti, ne identifica i luoghi senza l’utilizzo di tramezzi divisori o porte. Ogni elemento presente, talvolta francescano nel dimensionamento minimo degli ingombri, riflette l’attenzione per le proporzioni e l’impiego razionale delle superfici come ad esempio l’inserimento della seduta in calcestruzzo direttamente collocata lungo la parete della zona relax o la nicchia della doccia. Più in generale, ciò che traspare dall’oggetto architettonico realizzato, è la volontà del maestro di restituire uno spazio flessibile, fortemente connotato dalla penetrazione di luce ed aria. Non ultima, la grande loggia centrale, da concepirsi come una delle numerose asole presenti nella stecca in cui si doveva collocare il manufatto. L’idea natia di dotarsi di uno spazio interno semi coperto adatto alla conversazione ma anche alla naturale ventilazione degli ambienti si esplica in alcuni elementi di grande impatto visivo. La lunga finestra a nastro intervallata da pannelli scorrevoli in metallo permette di modulare e filtrare la luce all’interno del patio; la seduta ricavata dal pieno della parete perimetrale esterna; il foro circolare dal quale si erge l’alto fusto e il portellone-setto murario che separa o mette in comunicazione i due ambienti, sono solo alcuni segni del complesso lessico che ha caratterizzato tutta la produzione di Le Corbusier. In definitiva tale manufatto oltre a essere espressione di se stesso, ossia prefigura simultanea tra teoria e pratica del progetto, rappresenta la concretizzazione fisica di decenni di speculazioni architettoniche e di linguaggi via via sempre più raffinati. L’espediente del grande pozzo di ‘luce piovana’ e del chiodo arboreo che lo abita, restituisce uno spazio che trascende i confini del tangibile determinandosi come uno stato d’animo. Potremmo dire, senza incorrere in errore, che il padiglione dell’Esprit Nouveau, pur essendo un manufatto pensato e realizzato per ottemperare a esigenze specifiche e limitate nel tempo, s’impone come pietra angolare unica e irripetibile all’interno della vasta letteratura di modi di abitare.
DATI PERSONALI:
Nome: Antonio
Cognome: Buonaurio
Data di nascita: 20/06/1990
Professione: Architetto