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L’architettura im/possibile | Mattia Cocozza

L’architettura im/possibile | Mattia Cocozza

Autore: Diego Barbarelli
pubblicato il 17/05/2020
nella categoria Concorso Giovani Critici 2020

Testo edito pubblicato su ’ANANKE, n.87, maggio 2019.

L’arte, l’architettura, la società, l’economia. I temi affrontati da Ruskin sono tanti e tutti si intrecciano inesorabilmente tra loro, riconducendoci all’unico grande oggetto del suo ardente pensiero: il sentire universale dell’animo umano. Ecco ove risiede l’intramontabile contemporaneità di Ruskin, a lungo demistificato finanche nelle sue intenzioni più sincere, in virtù di quel tono predicatorio che informa i suoi scritti. È proprio la «meravigliosa eloquenza» (1), come l’ha definita Clark, che ha finito per condannare la complessità del pensiero ruskiniano, snaturandolo e riducendolo ad espressione di una nostalgica visione romantica della realtà. Di un simile pericolo si accorge lo stesso Ruskin quando, nella prefazione all’edizione del 1880 de Le sette lampade dall’architettura, finisce per biasimare l’«eloquio sovrabbondante, troppo pomposo e torrenziale» (2) che aveva caratterizzato la prima stesura del proprio testo. L’impeto con il quale Ruskin annota le proprie riflessioni è però, allo stesso tempo, il segreto dell’interesse, mai sopito, che ciascuno nutre nei confronti di questo autore. È alla luce di queste considerazioni che andrebbe riletta la sua critica all’architettura, reputata «lo specchio della società che la produce» (3). L’interesse di Ruskin per quella che «fra tutte le arti esprime meglio, o almeno più evidentemente, l’integrazione fra una attività espressiva e gli altri settori [della vita associata]» (4) non deve dunque apparire secondario, quanto piuttosto fungere da chiave di lettura per comprendere l’universalità del suo pensiero. I saggi contenuti in Unto this Last, d’altro canto, lasciano trasparire l’idea che l’architettura sia parte integrante della ricchezza della società e «nelle equazioni umane», sottolinea Chiara Rostagno a proposito di un’ “economia romantica” di matrice ruskiniana, «gli elementi morali (…) scardinano i fini dell’esistenza dal puro utilitarismo» (5). Per Ruskin, dunque, «non c’è altra ricchezza che la vita» (6). Questa affermazione potrebbe apparire in forte contraddizione con la visione dell’esistenza, aspramente pessimistica, che emerge da molti dei brani scritti dallo stesso Ruskin. A tal riguardo, però, non può essere dimenticato il malumore che spesso lo contraddistingue, legato a quello stato di malessere e di profonda depressione che attanagliano la sua mente, anche in virtù della sua nota precaria condizione di salute. Se una visione generalmente cupa della realtà sembra allora avvalorare la tesi di una percezione tendenziosamente negativa degli scenari che il mondo offre, allo stesso tempo tristemente profetiche appaiono le sue parole in altre occasioni. In The Study of Architecture in our Schools, Ruskin, infatti, descrive la città come percorsa non da «viali per la passeggiata e la processione di gente felice, ma canali per lo scarico di una folla tormentata, in cui il solo fine nel raggiungere qualsiasi luogo è di essere trasferiti ad un altro; in cui l’esistenza diviene mera transizione ed ogni creatura è solo un atomo in un corso di polvere, e in una corrente di particelle che si avvicendano, circolanti qui per i tunnel sotterranei e lì per i tubi dell’aria». La descrizione di Ruskin, carica di pathos e testimonianza evidente di una sensibilità fuori dal comune nel captare l’essenza delle cose e nel restituirla ai suoi lettori, non può che apparire quanto mai aderente alla realtà odierna.
In Turner e i Preraffaelliti, a proposito del pittore inglese, Ruskin scrive che questi «aveva una vista troppo acuta» (7), restituendone l’immagine di un visionario in grado di guardare ben più lontano di tanti altri suoi contemporanei. Queste medesime parole possono oggi attribuirsi a Ruskin stesso, riconoscendogli l’indiscussa capacità di aver prefigurato lo sviluppo dei moderni agglomerati urbani quali «città costruite nell’aria oscura (…) in cui lo scopo degli uomini non è la vita, ma il lavoro» (8).
La città contemporanea, senza dubbio profondamente diversa da quella che nasce e si trasforma sotto gli occhi di Ruskin per effetto della rivoluzione industriale inglese, condivide però con quest’ultima un triste destino. Entrambe, infatti, sembrano ergersi ad emblema degli insoluti problemi sociali sui quali Ruskin si è a lungo soffermato nei suoi scritti. Non è un caso, a tal proposito, che la ricerca di una maggiore equità sociale sia ancora oggi un tema attualissimo, dal quale non può esulare qualunque tipo di speculazione nel campo del progetto di architettura. La violenta requisitoria di Ruskin nei confronti delle abitazioni «disposte in quelle squallide file di una precisione freddamente regolare, senza differenze e senza alcun senso di fratellanza, tutte uguali e tutte isolate in sé stesse» (2) non anticipa forse di oltre un secolo la riflessione sugli aridi edifici che contraddistinguono le nostre periferie? E se Pierre Bordieu arriverà ad affermare che «lo spazio “culturalizzato”, dimenticato il suo essere un prodotto dei rapporti tra gli esseri umani, acquista agli occhi di coloro che ne fruiscono la immutabile ragion d’essere dei fatti di natura» (9), appare evidente la fondatezza della preoccupazione di Ruskin nei confronti del destino delle città, in virtù della stretta interdipendenza che lega inesorabilmente queste alla società.
Le animate riflessioni dell’intellettuale inglese non si fermano, pertanto, a sottolineare la necessità di una tutela del patrimonio antico, bensì insistono parimenti sull’esigenza di una maggiore attenzione circa il progetto dell’architettura futura. «Tutta l’architettura produce un effetto sulla mente dell’uomo, non soltanto un servizio per il suo corpo» (2). L’architettura della città, dunque, tuona Ruskin, influenza direttamente la qualità della vita degli uomini che la abitano e che la abiteranno. Tutelare la bellezza, conservare un patrimonio «che appartiene a tutti» (10), è pertanto uno dei capisaldi del pensiero ruskiniano che con maggior forza ed impeto si proiettano nella cultura del tempo presente. L’idea di «vivere oggi in economia per il bene dei nostri debitori che devono ancora nascere, di piantare oggi foreste perché i nostri posteri ne possano godere l’ombra, o di far sorgere città perché vi abitino i popoli del futuro», dal momento che «la terra l’abbiamo ricevuta in consegna [e] non è in nostro possesso» (2), si carica in maniera manifesta di un’aura di sconcertante attualità. Nella necessità, predicata da Ruskin con tanto vigore, di una razionalità nell’uso delle risorse a nostra disposizione, si può scorgere, in nuce, tutta la potenza e la più autentica essenza del tanto abusato concetto di “sostenibilità”. (11)
È questo, per l’appunto, uno degli insegnamenti ruskiniani che più appaiono precursori di una inedita sensibilità nel campo della conservazione, la prima luce, forse, scatenata con furore da quella “lampada della memoria” che ha rischiarato la cultura del restauro. Se Ruskin «rifuggì da ogni formulazione metodologica delle sue idee in campo sociale ed artistico, lasciandoci più che una filosofia o una teoria estetica, un messaggio» (12), a noi spetta il compito di analizzarne il pensiero con acuta profondità, cogliendone il più alto contenuto. Roberto Pane, a tal proposito, sottolinea come l’essenza del messaggio di Ruskin stia proprio nell’«inseparabilità da lui predicata dell’esperienza morale da quella estetica» (13) e «nel fatto che non si possono vituperare o sprecare la natura e i prodotti dell’arte senza che l’uomo senta che la stessa estraniazione è stata perpetrata nel suo intimo essere» (13).
L’attenzione per i temi dell’estraniazione, dell’alienazione e della mortificazione proprie dell’uomo che vive nella città industriale non è dunque frutto di un cieco e «nebuloso idealismo romantico» (14) quanto piuttosto l’intuizione della deriva sociale che avrebbe continuato ad opprimere quel “sentire dell’animo umano” tanto caro a Ruskin. Una oppressione, questa, che trova il suo naturale riscontro nell’architettura asettica della città moderna, ove a prevalere è «l’aspetto della venalità, […] di una pigra accettazione di condizioni poco onorevoli» (2). «Per una città come questa», conclude Ruskin, «nessuna architettura è possibile» (8).
A duecento anni anni dalla nascita di Ruskin, consci della sua eredità e delle tante evoluzioni che ha subito la teoria del progetto e del restauro architettonico, siamo in grado di restituire alla “città degli uomini” una architettura possibile?

Note

1. Cfr. K. Clark, Introduzione a Ruskin Today, London, Murray 1964; R. Di Stefano, John Ruskin. Interprete dell’architettura e del restauro, Napoli, ESI 1969.
2. J. Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, con una presentazione di R. Di Stefano, Milano, JacaBook 1981.
3. R. Di Stefano, John Ruskin. Interprete dell’architettura e del restauro, op. cit.
4. R. De Fusco, L’idea di architettura, Milano, Edizioni di Comunità 1964, rist. 1988.
5. C. Rostagno, L’economia romantica di John Ruskin e il “drama” della vita secondo Patrick Geddes, in ‘ANANKE, n. 65, gennaio 2012.
6. Cfr. L. Mumford, Tecnica e cultura (ed. ital.), Milano, Il Saggiatore 1968.
7. J. Ruskin, Turner e i Preffaelliti (ed. ital.), Torino, Einaudi 1997.
8. Cfr. J. Ruskin, The Study of Architecture in our Schools in The Works of John Ruskin a cura di E.T. Cook e A. Wedderburn, London, G. Allen 1909.
9. Cfr. A. Signorelli, Antropologia urbana. Introduzione alla ricerca in Italia, Milano, Guerini 1996.
10. Cfr. J. Ruskin, La poesia dell’architettura, Milano, Solmi 1909.
11. Cfr. M.Sergio, A. Oppio, Etica ed economia nel pensiero di John Ruskin, in ‘ANANKE, n. 66, maggio 2012.
12. R. Picone, John Ruskin e il Mezzogiorno d’Italia. Gli esiti sulla conservazione dei beni architettonici nel Novecento, in L’eredità di John Ruskin nella cultura italiana del Novecento a cura di D. Lamberini, Firenze, Nardini 2006.
13. R. Pane, introduzione a R. Di Stefano, John Ruskin. Interprete dell’architettura e del restauro op. cit.
14. Cfr. A. Hauser, Storia sociale dell’arte (ed. ital.), Torino, Einaudi 1959.

DATI PERSONALI:
Nome: Mattia
Cognome: Cocozza
Data di nascita: 02-06-1993
Professione: Dottorando di ricerca in Composizione Architettonica