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Nostalgia e rancore oggi – di Eduardo Alamaro

Nostalgia e rancore oggi – di Eduardo Alamaro

Autore: Eduardo Alamaro
pubblicato il 02/02/2020
nella categoria Crick di Eduardo Alamaro

 “Op. Cit, selezione della critica d’arte contemporanea” è la ben nota e notata rivista quadrimestrale (da qualche tempo convertita al digitale, in rete) giunta alla ragguardevole quota del numero 167, gennaio 2020, senza interruzione di gravidanza alcuna. Io posseggo molti numeri cartacei dei ben nati, a partire dal primo genito, settembre 1964, con un saggio sulle (allora) “Nuove icone” di Dorfles.  L’Op. Cit mi giunge ora in versione digitale, grazie. Comoda, immateriale, veloce, (forse anche per merito della segretaria di redazione Emma La Bruna), ma … ma io ho nostalgia di quella stampata d’origine controllata, quella cartacea col profumo d’antico della fu modernità anni ’60, ma …  … ma io son perdonato perché sono del ‘900. Non sono un nativo né fottivo digitale, ma … ma un “digitale per necessità”. Non ci credo ma mi adeguo. Sono quindi un digitale abusivo, un non credente, un sopravvissuto nel mare on line global d’oggi. Aiuto, naufragio, si digitalizzi chi può!! Dall’ultimo numero di OP. CIT. segnalo ai miei (pochi) lettori coraggiosi un interessante saggio di Renato De Fusco, assoluto timoniere di questa rivista napoletana sin dalla fondazione di 55 anni or sono (e per cient’anni ancora). Il tema è proprio la Nostalgia, anzi la “Fenomenologia della nostalgia”, tema aperto da De Fusco (con Valeria Pagnini) con cinque chiavi d’accesso: la psicologia, la memoria, il ricordo, la storia, la religione, ma … ma è solo un inizio, l’argomento merita, come promette lo stesso De Fusco. Attendiamo sviluppi.  Si legge a introibo del piezzo: “Il pensiero, la memoria, il ricordo e il sentimento sono i fattori basilari della nostalgia e della melanconia, i cui processi sono accomunati e caratterizzati da una invariante, ossia dalla mancanza di qualcosa.” Il topo roseca le coscienze, nelle cosce e nelle scienze.  La ricerca di questo “qualcosa” ha spinto gli uomini da sempre in avanti. Da qui le narrazioni delle religioni, le arti, le conoscenze, le culture, il faticato sentimento dell’amore universale. Faticato perché, allo stato di natura, alla radice, il primo sentimento dell’umano è invece l’odio, la chiusura, la difesa, il pugno chiuso, l’aggressione, il rancore. Un branco contro l’altro, contro il diverso e lo snob, l’eccentrico e il fuori centro. Contro il ricercatore ricercato. Un branco contro l’altro, quindi. La mano aperta ed accogliente, la relazione, il sorriso, l’amicizia, la forma aperta oltre il recinto e il muro, la pianta libera (di crescere autoregolandosi come vuole), è una conquista moderna, liberale, umanitaria, socialista. Qui il punto, qui l’attualità “politica” della questione nostalgia posta da Op. City. Qui la necessità di analisi profonde, “alla De Fusco”.  Qui sta il passaggio chiave degli ultimi trent’anni, dal 1989 della caduta del muro est-ovest a oggi. Anzi di più: dalla caduta di tutti i muri e confini a oggi, China compresa e (talvolta) incomprensibile. Con la promessa (poi rapidamente svanita in questo trentennio) di una Umanità senza confini, libera e potente. Con godimento di architetture e città sempre più belle e formate, sempre firmate e garantite nella sicurezza del logo, dal marchio di qualità. Soddisfatti o rimborsati nella libera navigazione (senza dogane) di uomini e merci globalizzati. Non è stato proprio così.  Qui si colloca, si dice, il passaggio tra tardo/moderno e l’iper/moderno. Dalla liberazione della pulsione neolibertina tutta open e bunga bunga del Cavaliere di turno (e di ritorno) a quella neo-securitaria d’oggi dei trumpisti di tutto il mondo senza religio, senza collante. Qui lo snodo epocale degli ultimi 30 anni scollati: dal sogno del godimento dei “ristoranti pieni”, alla dura realtà quotidiana dello sbarco degli ultimi del mondo, da accogliere. Anzi, meglio, da bloccare. Porti chiusi. Il passo al rancore è stato breve e automatico: dalla disillusione global si è andati dritto dritto alla chiusura in sé stessi, fino alla paura e all’odio (anche razziale), categorie che si celavano dentro di noi e sulle quali campano oggi (con evidente successo) le culture dei sovranismi senza corona. Corona virus populista. La sovranità appartiene al Popolo degli smartphone, del social, del web. Sempre peggio, aiuto voglio scendere. Datemi un Chinart, un Cynar d’arte d’estremo oriente. 

Questa disillusione quasi-universale ha aperto alla odierna tematica della nostalgia global individualizzata. Ognuno si salvi da sé, è finito il collante. Liberalizzazione: ognuno ha licenza di armarsi e uccidere, attendendo fiducioso i pieni goderi e pieni poteri dell’uomo della Provvidenza sovranista di turno (e di ritorno, a cose fatte).  Attendendo la venuta dell’uomo (o donna) forte, fortissima; il padre-padrone o la mammasantissima-padrona. Comunque guardiani unisex punitivi, salvifici e salvinifici dei confini inviolabili dello stato-nazionale 800-900, frettolosamente liquidato dall’UE dell’euro dei masso-banchieri. Brrr.. exit, che freddo! AAA … agenti della dogana, della sicurezza, della porta blindata, della videosorveglianza universale, del circuito e sistema chiuso. Sempre più chiuso su di sé e per sé. Qui è evidente l’intersecarsi della (patologica) Nostalgia dell’Occidente / accidente perduto col punto centrale di ogni architettura degna: la soglia, il rapporto interno-esterno, tra il sé e l’oltre di sé, tra l’autonomia e l’eteronomia della disciplina.  Non più, quindi, la nostalgia-melanconia come molla dell’artifizio creativo, per andare in quel “qualcosa” che sfugge fatal-mente all’uomo; non più arti/sfizio per andare nel mistero, nella bellezza, nell’arte, nello stile di vita; non più nostalgia del classico come fecero gli uomini del Rinascimento italiano o nostalgia del gotico, come fecero nell’età delle macchine, nella prima rivoluzione industriale, ma …. ma -viceversa- nostalgia intesa come chiusura securitaria, rifugio, bunker visto come  indispensabile architettura per sfuggire al pericolo, spesso inventato e/o amplificato dalla bestia. Dalla bestia che abballa in noi umani. In natura l’odio viene prima dell’amore. L’amore (e la progettazione dell’amore) è una faticosa conquista culturale e ….  … e, come s’è detto autorevolmente da chi sa, “il moderno fu liberatorio di una condizione dell’Io, l’iper-moderno che viviamo è la trasformazione dell’Io in Dio”. E’ la forma bella in sé, tecnologicamente appariscente, sfuggente a tutte le regole ed etiche, (vedi le sempre più raffinate armi bio-tecnologiche, droni, ecc…), ma … … ma questa condizione iper-moderna diffusa, a basso costo, disponibile facilmente H 24 nel palmare quotidiano, non sarebbe stata tecnologicamente possibile prima dell’agosto 2003 quando il sito Myspace offri per primo la possibilità di creare un proprio profilo personale, consentendo agli utenti di “connettersi ad una rete sociale fatta di altri profili personali, blog, musica, foto, gruppi musicali”.  Myspace ha giocato in tal modo un ruolo fondamentale nel cambiamento del gusto democratico senza frontiere; per il “tutti artisti e tutti connessi”, tutti Leonardo, tanto da diventare rapidamente, nel giugno del 2006, il sito più visitato negli Stati Uniti superando perfino l’onnipotente Google esentasse.  Poi lo smartphone multifunzioni ha dato il colpo di grazia. Per tanta grazia ricevuta. E’ proprio questo strumento che apre concretamente alla “nostalgia dell’onni-presente”, pronto casa e pronto cassa, dove la fotografia distratta, disamorata, “scatta e fuggi”, poi inviata dallo smartphone, svolge un ruolo decisivo in tal senso comune; quello, secondo Marcello Veneziani, citato da De Fusco per concludere il suo articolo, di “immortalare il momento o il luogo dell’evento: fermarlo, antologizzarlo nell’ambito di una mitologia personale o familiare”.  Nuovi miti, nuovi riti, nuove icone, come ai tempi “affluenti” di Dorfles del primo numero di Op. Cit., 55 anni fa. C’è molto da indagare sulle differenze. Buon viaggio con instagram facebook e linkedin, din don! Saluti.