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Le conseguenze imponderabili… del caso – di Gabriello Grandinetti

Le conseguenze imponderabili… del caso – di Gabriello Grandinetti

Autore: Gabriello Grandinetti
pubblicato il 16 Dicembre 2018
nella categoria Parole

“Anche un evento altamente improbabile che non si verifica è un Cigno nero. Si noti, infatti, che per simmetria il verificarsi di un evento estremamente improbabile equivale al non verificarsi di un evento estremamente probabile.”     Nassim Nicholas Taleb (Il cigno nero, come l’improbabile governa la nostra vita) Se si osserva il campo dei fenomeni in cui trova applicazione il principio di eterogenesi dei fini di Wilhelm Wundt, secondo cui << conseguenze non intenzionali possono derivare da azioni intenzionali >> se ne può dedurre che il disallineamento con il nesso di causalità sommato agli effetti secondari delle condizioni ambientali che influenzano le azioni dell’agire collettivo, implicherebbe risultati divergenti, se non antitetici, agli scopi e ai fini dichiarati.  Premesso che processare un qualsiasi rapporto di causa-effetto può dar luogo a un rimbalzo di combinazioni non più riconducibili alla forma originaria da cui discendono, per Hannah Arendt l’uomo è sempre responsabile delle conseguenze impreviste delle sue azioni, poiché la sua “azione non ha fine”.  A voler restare nel campo dei fenomeni estetici più performanti come l’architettura, non è raro il manifestarsi di discontinuità tanto più evidenti quanto accidentali, dislocate lungo un percorso “evoluzionistico” declinato in chiave meccanicistica. Presupposto teorico della Modernità fondata sull’ irreversibilità del progresso e la concezione lineare del tempo, il cui senso di marcia è orientato verso il Futuro.   Vista in una prospettiva vichiana l’architettura, posta al centro di periodizzazioni storiche e ricorsi, contravvenendo a quell’incessante principio deterministico, sarebbe incorsa in un fatale deragliamento di esegesi critica con l’irrompere del Postmoderno sulla scena degli anni ’80. Più che una tendenza, un effetto collaterale del proibizionismo modernista. All’Utopia del Movimento Moderno è toccato così “rivolgere il suo timone verso Itaca “(Portoghesi), cioè nel grembo originario del Passato, un dèjà-vu insomma, disinnescando il centro di gravità estetico funzionalista. Forse per rientrare in una dinamica di eterogenesi dei fini, come messo ancor più in evidenza da un aforisma di Paul Virilio: l’invenzione della nave è coincisa con l’invenzione del naufragio”.  Restando tuttavia anche valida l’asimmetria delle conseguenze, che convalida risultati sia in negativo che in positivo: ancora sul tema del naufragio, per esempio, ci si può interrogare sulle corrispondenze ante litteram, del seme Decostruttivista, con l’ineffabilità espressiva dell’opera romantica “il mare di ghiaccio” (1823-24) di Caspar David Friederich. Il dipinto allegorico immobilizza drammaticamente l’affastellarsi di lastre aguzze di ghiaccio, emergenti dal mare, declinanti come quinte diroccate in un raggelante paesaggio artico che inghiotte un relitto semi affiorante tra i frangenti. Ogni riferimento evocativo al (ROM) Royal Ontario Museum, Toronto di Libeskind è del tutto casuale, o si tratta di eterogenesi dei fini? Parimenti ci preme riflettere sull’aspetto, per così dire, preterintenzionale di quelle azioni sopra richiamate, che vanno cioè oltre ogni plausibile intenzionalità.  Paradigmatico è l’esempio dell’effetto farfalla di Lorenz, per cui: “Il battito d’ali di una farfalla, a Pechino, provoca un uragano in Arizona”. Il processo originato da quel battito d’ali infinitesimale che, per il tramite di una catena di conseguenzialità, conduce ad un’imprevedibile dinamica esponenziale, si inscriverebbe in un’equazione generata dalla teoria del caos di Alan Turing, che è fuori dalla nostra portata. Ma trova riscontri con l’attualità, convertendosi in un test predittivo di quella rivoluzione digitale i cui algoritmi non ci consentono più di essere esentati dal partecipare al grande gioco dell’imponderabilità. Tuttavia i termini di questa sfida, in cui si misura il carattere aleatorio della globalizzazione digitale,  possono apparire fuorvianti, se non si tiene conto che : << …il mondo globale è (anche) il mondo della discontinuità… ne rappresenta, per così dire, la concreta traduzione spaziale e comporta conseguenze nel campo dell’estetica, dell’arte e dell’architettura. I grandi architetti sono diventati star internazionali: quando una città aspira a figurare sulla rete mondiale, cerca di affidare a uno di loro la realizzazione di un edificio che abbia valore di monumento, di testimonianza, che ne provi la presenza al mondo, ovvero l’esistenza nella rete, nel sistema.>> (Marc Augè)  per Baudrillard, l’ultrasemplificazione delle lingue digitali prevale sulla complessità figurativa delle lingue naturali. Con il codice binario e la sua decodifica, la dimensione simbolica del linguaggio è andata perduta.  Ma oggi il linguaggio si misura con un eclettismo formalista di tipo egemonico perpetuando il cyberspazio nella sua forma più estrema. In tal modo il potere transnazionale   della società dell’immagine esercitando il suo dominio tecno-economico sull’architettura ne mantiene solo in apparenza la libertà figurativa, da cui è espulsa ogni connotazione utopistica, iscrivendosi in un’estetica iconica di consumo, che ne sanziona il successo come un qualsiasi prodotto di marketing. Nello spettacolo del mondo globalizzato la realtà diventa iper-realtà . Le cose sono diventate così veloci che i processi non sono più inscrivibili in una temporalità lineare, in uno sviluppo lineare della storia. Niente si muove più dalla causa all’effetto: tutto è attraversato trasversalmente da inversioni di significato.Così Baudrillard ne: L’illusione dell’immortalità.