Autore: Diego Barbarelli
pubblicato il 22 Aprile 2014
nella categoria Giovani Critici 2014, presS/Tcontests
Testo edito pubblicato su Bioarchitettura, numero 78, gennaio 2013
Le opere dell ‘architetto Imre Makovecz, risultano ben custodite e insieme opportunamente diffuse, testimonianza di un ‘eredità senza tempo, trasmessa senza alcun testamento, divulgata anche attraverso i suoi progetti incompiuti, che talvolta, per buona sorte, hanno trovato la strada e l ‘occasione per essere definiti e realizzati.
Un patrimonio rappresentativo del personaggio, sempre fedele all ‘uomo che è stato, strettamente congiunto ai suoi principi, studiato per via dei suoi scritti, dei suoi insegnamenti. Un Makovecz conscio di una vita vissuta in sintonia con i concetti che professava ha introdotto in svariati modi il suo pensiero che si relazionava coi fatti per fonderli e trasformarli in azione. Il modo di fare architettura, inteso per le comunità e mai rivolto ad un pubblico privilegiato ma collettivo, ha teso lo sguardo verso le connessioni sociali e spirituali tra i luoghi e le persone e, con un linguaggio senza frontiere, ha posto in associazione i luoghi agli esseri viventi.
Architetto e uomo privato sempre insieme, sempre di comune accordo per l ‘accoglienza e lo scambio di nuove conoscenze, per l ‘attenzione e l ‘aiuto reciproco, disposti e predisposti al sapere, troppo comunemente manipolato, artefatto e falsificato per gli interessi del momento, è riuscito ad andare anche contro i propri interessi pur di mantenere fede ai suoi impegni di coscienza.
Tanti aspetti di un uomo che ha svolto il suo lavoro come una missione di dovere, in cui dichiarata era la proposta di intenti, dediti al buonsenso e scevra di ogni fine subdolo, fortemente contrapposta alla scelleratezza e disarmante per la reale coerenza, motivata dalla necessità e dalla contingenza, sono emersi durante il workshop tenutosi nel villaggio di Devecser, nel mese di agosto, dove la colata dei fanghi rossi, residuati della lavorazione della bauxite causò il decesso di vite umane, dove ingenti furono le distruzioni materiali e gravissimi i danni ambientali. In quegli stessi luoghi, a seguito del disastro, centinaia di ettari di terreno contaminati sono stati bonificati con la rimozione di migliaia di metri cubi di terra e in quella circostanza, l ‘ingegno dell ‘uomo-architetto, si prodigò analizzando e promuovendo interventi di ricostruzione, per superare e porre rimedio ai danni che la catastrofe industriale del fango rosso dell ‘ottobre 2010, aveva compiuto.
La principale attività del workshop è stata la realizzazione di una cappella ecumenica, inaugurata in ottobre, in occasione del secondo anniversario della sciagura, nonche ultimo progetto dell ‘architetto Makovecz, alla cui definizione per quel che riguarda alcuni dettagli costruttivi e parte della struttura in legno, si era lavorato negli ultimi mesi a Budapest, coerentemente ai disegni già elaborati.
├ê il secondo anno che i giovani architetti della V├índoriskola e una quarantina di giovanissimi studenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Budapest si trovano a Devecser per un campo estivo di architettura. Già nell ‘agosto 2011, gli studenti hanno realizzato, selezionandoli tra i progetti realizzati a
lezione, un parco giochi e un pergolato in un lotto libero, centrale rispetto alle unità abitative costruite ex novo, dopo il grave disastro. Quest ‘anno il workshop ha avuto un duplice tema, oltre alla cappella ecumenica dell ‘architetto Makovecz, sono state costruite due pensiline per la fermata dell ‘autobus, progetto selezionato tra quelli degli studenti del corso di progettazione organica.
Per tutti coloro che hanno partecipato alla definizione dei progetti, dal calcolo e disegno delle strutture lignee, alla fase esecutiva e alla fase di cantiere, è stata un ‘occasione di crescita professionale e personale, nonche di confronto, con il progetto, con la competenza di operai di cantiere che hanno lavorato per la realizzazione dell ‘opera nelle sue varie fasi, approcciando con una serie di problematiche che in fase di costruzione sono state affrontate e risolte, ma soprattutto hanno potuto commisurarsi ancora una volta con l ‘architettura di Imre Makovecz.
L ‘aspetto più importante e persino emozionante, è stato lo scambio con le persone e la comunità locale nel suo insieme, sempre presente ed attiva durante le settimane di lavoro, curiosa, premurosa nei confronti dei ragazzi, dei professionisti e dei volontari dell ‘associazione UTILAPU, che hanno contribuito e aiutato nelle operazioni di cantiere.
I professionisti, gli studenti e i volontari si sono occupati di tutte le attività, dall ‘applicazione della pittura protettiva sulle travi in legno lamellare e massello, al taglio del tavolato ligneo e delle scandole di ardesia, alla posa dei laterizi, della malta, della pavimentazione, del gesso e delle pitture di finitura, alla sistemazione della collina di terra e del prato attorno alla cappella, acquisendo conoscenze e partecipando allo scambio reciproco tra loro e con la comunità.
Si è trattato quindi di un cantiere che ha visto la presenza di decine di persone, ognuna delle quali ha portato il proprio contributo, lavorando a stretto contatto per tre settimane. La ricostruzione a Devecser, ormai completa, per quel che riguarda gli aspetti materiali, si arricchisce di valori sociali, che fanno onore alla comunità locale.
E se l ‘architettura è per le persone, per soddisfarne bisogni fisici e spirituali, l ‘architettura organica ungherese, portavoce di questo modo di pensare e fare l ‘architettura, ha dato e continua a dare l ‘esempio da dover divulgare come una lezione di vita, per un vivere migliore.
Note: Le fasi della realizzazione della Cappella ecumenica, progetto finanziato dalla Magyar Fejlesztesi Bank Zrt. (Banca Ungherese per lo Sviluppo) e da altri ventidue Enti per la protezione forestale, hanno coinvolto diverse figure e studi professionali, tra cui lo studio di architettura Triskell Kft. di Budapest, lo scultore Csert┼æ Lajos, che si è occupato della realizzazione delle ali in legno massello del campanile, del lucernario, della porta in metallo e della guglia che sovrasta il campanile; l ‘artista Anna Makovecz, che ha realizzato le foglie di cemento utilizzate per la pavimentazione; la ceramista Eva Kun, che ha realizzato il mosaico in ceramica smaltata per l ‘altare.
DATI PERSONALI:
Nome: Martina
Cognome: Giustra
Data e luogo di nascita: 05 Agosto 1985
Professione: Architetto