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Fuori di secolo – di Fiona Serrelli

Fuori di secolo – di Fiona Serrelli

Autore: Fiona Serrelli
pubblicato il 18 Giugno 2012
nella categoria Parole

È architettura disegnata che viene costruita. È teoria applicata che non diventa pratica.

La chiesa di San Carlo Borromeo a Fonte Laurentina è stata inaugurata nel 2011, progettata da Antonio Monestiroli, dopo aver vinto un concorso nel 2005.

Il quartiere che ospita l 'edificio è frutto degli anni '70, nasce per insediare abitazioni popolari in una campagna da cartolina della periferia romana e, come nella migliore tradizione, è di fatto un 'appendice scomposta e casuale che fuoriesce dall 'anello del GRA.

Le urbanizzazioni della intera zona vengono progettate e realizzate solo in questo ultimo decennio, dopo gli edifici dormitorio a dieci piani, e solo nel 2005, si pensa alla realizzazione della chiesa del quartiere.

Secondo una logica molto lontana sia dalla disciplina urbanistica che architettonica, che potrebbe far pensare, più che altro, all 'idea di civilizzazione dei conquistadores spagnoli in Messico, l 'istituzione laica dello Stato è sostituita nelle sue funzioni, dal Vaticano, che mette a disposizione i suoi mezzi per provare a rendere meno desolato e desertico un brano di campagna che deve diventare città.

E la città, per tradizione, ha una piazza, una strada, una chiesa.

La strada c 'era già grazie ai romani, quelli antichi, che avevano realizzato la Laurentina; per la Chiesa e la Piazza la pianificazione capitolina, ha pensato di provvedere con l 'intervento dell 'architetto milanese.

L 'impianto della nuova centralità è realizzato con recinti accostati di geometria rettangolare.

Due volumi: uno per la Chiesa ed uno per gli uffici parrocchiali e le funzioni annesse, a dividerli uno spazio adibito a cortile per l 'oratorio. Svetta dall 'aula cieca il campanile quadrangolare. La luce viene dall 'alto, il lucernaio sulla sommità del campanile illumina il crocifisso dell 'altare, l 'ingresso definisce e crea la facciata principale, le finestre si aprono solo sul retro. Tutto rimanda ad una sensazione metafisica ed astratta di ordine assoluto.

Non si può parlare di un edificio contemporaneo, secondo l 'abbondante produzione teorica di Monestiroli, moderno non è l 'edificio,ÔǪ, è soltanto l 'aspetto dell 'edificioÔǪ, ma, in questo caso, purtroppo neanche l 'immagine pare ricordarci che siamo nel XXI secolo. Tralasciando le questioni formali e compositive, su cui la generazione di Monestiroli, si è arrovellata per decenni nell 'impossibilità di praticare la professione, producendo disegni, quadri, modelli e libri, all 'atto pratico, che è architettura, si avverte un disagio di comprensione, una difficoltà di accettazione.

Non è misticismo o raccoglimento che si vive dentro lo spazio consacrato ma un estraniamento, lo stesso che si prova nel quartiere circostante, dentro Roma ma affatto romano.

Le chiese della Città Eterna mai sono vestite di tufo, materiale laico, che, a dire il vero, non si usa più nemmeno per le palazzine; i cortili sono avvolgenti e lastricati per giocare a palla, non asettici e piantumati; il campanile che dovrebbe svolgere il ruolo, anche simbolico, di faro nella notte, riesce solo a fare il verso al rudere della torre romana da cui la zona prende il nome.

Ma la perplessità maggiore riguarda la reale possibilità di coniugare un corpus teorico di matrice socialista degli oscuri anni '70 con le esigenze pratiche e spirituali di una nuova collettività che vive in villette seriali di una campagna declassata a periferia speculativa.

Le ridondanti parole, sulla valenza politica dell 'architettura, tradotte in fatti, si sono materializzate in disfatte sociali come Le vele e lo Zen, luoghi carichi di principi teorici ma spesso privi di vita.

├ê finita l 'epoca in cui si poteva raccontare la cultura del progetto prescindendo dalle questioni tecnico-funzionali e non sono più eticamente accettabili le giustificazioni, che si scrivono nelle relazioni di progetto, per edifici che realizzati, parlano poco di composizione.

«Come la centina, la teoria, a mio giudizio, non deve essere altro che una costruzione ausiliare che, dopo aver permesso di formare l'arco, si smonta e scompare discretamente affinche questo possa essere visto in tutto il suo splendore» Carlos Martí Arís