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Intervista a Luigi Valente

Intervista a Luigi Valente

Autore: Roberto Sommatino
pubblicato il 6 Febbraio 2012
nella categoria Ragionamenti di Roberto Sommatino, Senza categoria

di Roberto Sommatino

 

 

Lichen/Biomonitoring System, Oslo, Norvegia, 2011

 

 

Luigi Valente nasce nel 1975 a Roma, dove si laurea in Architettura presso l'Università "La Sapienza". Dopo la laurea svolge attività didattica e di ricerca presso la stessa facoltà. Ha lavorato, tra gli altri, presso lo Studio Portoghesi, Nemesi Studio e Studio Fuksas e ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali, ottenendo il primo posto nel 2007 al concorso internazionale per il Lungomare di Fregene (in collaborazione con il Gruppo Portoghesi), e nel 2008 al concorso internazionale Europan 9, per la progettazione del Masterplan di Kotka, in Finlandia. I suoi lavori sono stati esposti a New York, Roma, Firenze, Venezia Biennale (progetto “Trans-City” per il padiglione “UnEternal City” e pubblicati su diversi cataloghi, tra cui Europan 9 (2008) e UnEternal City (2008). Tra i suoi ultimi lavori, nel triennio 2009-2011, la riqualificazione dell’ex-discarica di Oslo (Norvegia) e del nuovo quartiere a Romainmotier (Svizzera).

 

 

Una breve definizione della tua architettura.

E’ difficile dare una definizione univoca di quello che faccio. Mi piace un concetto di architettura "in movimento", dove il dinamismo geometrico si fonde con l'evoluzione dell'oggetto architettonico che muta con il tempo.

 

Qual è il processo creativo da cui nascono i tuoi progetti?

Parto sempre dalla funzione e dagli obiettivi del committente per poi proseguire sulla forma. Credo che non basti progettare semplicemente uno spazio funzionale alle azioni che vi si svolgono ma è importante anche focalizzare ciò che si vuole ottenere dall'oggetto architettonico.

 

Che ruolo hanno l'informatica e le nuove tecnologie?

La mia generazione non può prescindere dalle nuove tecnologie, io non faccio eccezione. L'apporto è quasi totale, direttamente o indirettamente ogni parte del processo creativo passa per uno strumento informatico, che sia l'ultimo programma di modellazione tridimensionale o semplicemente la video chat per discutere con un cliente o un collaboratore.

 

Come si procede concretamente?

La prima cosa che si fa nel mio studio è parlare, tanto: si discute con i collaboratori del programma, che può essere dettato dalle idee del cliente o dalle richieste di un concorso. La seconda fase è la scelta della strategia: si valuta quella più adatta al tema da indagare, sempre all'interno delle scelte stilistiche dello studio. Questa fase può durare anche giorni. Dopodiché si comincia a lavorare a partire da uno schizzo tridimensionale e si vagliano varie ipotesi; molto importanti sono i riferimenti per i materiali e la ricerca sulle soluzioni tecnolgiche. Poi c'è la parte creativa che, nel novanta percento dei casi, si svolge sempre al computer, in 3D. Personalmente ho avuto sempre poca attitudine a lavorare con il plastico, strumento che reputo ancora molto utile ma solo per indagini su strutture più complesse. Nel mio caso è più che sufficiente il 3D digitale, che, fra l'altro, consente anche di abbassare i costi di produzione.

 

Navigando nel tuo sito, luigivalente.com, si intuisce che investi molto sulla comunicazione.

Si, certo. Tra le nuove tecnologie sono molto affascinato dai sistemi di comunicazione, che riescono a veicolare contenuti (se validi) con molta facilità. Internet può essere utilizzato con creatività, sfruttando i canali di condivisione della rete. A volte basta una piccola idea che messa in rete può prendere vigore ed essere rielaborata dagli input esterni. Credo che ogni architetto debba saper veicolare bene le proprie idee. La figura dell'architetto che sta chiuso nel proprio studio ad elaborare mille progetti o mille volte lo stesso progetto non ha senso. Ho conosciuto grandi progettisti che, dal mio punto di vista, sono pessimi architetti, perché non sono capaci di realizzare i loro straordinari progetti; ho conosciuto invece mediocri progettisti che sono grandi architetti in quanto capaci di vendere bene il proprio prodotto. Se questo si fa con dignità e non ad ogni costo è una componente fondamentale ed anche molto interessante.

 

Ci parleresti del progetto che più ti rappresenta o al quale sei più legato?

Non c'è n'è uno in particolare che mi rappresenta più degli altri, ma mi piacerebbe parlare della ristrutturazione dell'antica neviera. Doversi confrontare con una tipologia mai esplorata è stato per lo studio un grande stimolo. La neviera, una struttura cilindrica in pietra, interrata per quindci metri e affiorante per soli tre, è collocata nel bel mezzo di un bosco. L'idea è stata quella di trasformarla in una cantina per deposito vini, con spazi espositivi e di degustazione su più livelli. Tre nuovi solai con struttura in acciaio, dividono il vecchio spazio in quattro livelli: i tre livelli interrati sono attraversati dalla scala che prende ogni volta una forma diversa, conferendo allo spazio una nuova modernità. L'uso del corten come rivestimento riesce poi ad uniformarsi molto bene con gli antichi colori.

 

Quale architetto del panorama internazionale costituisce per te un riferimento?

Non ho riferimenti; ma c'è tanta buona architettura, soprattutto fuori dall'Italia. Quando si studiano i grandi architetti, oltretutto, non ne trovi mai uno che ti soddisfa appieno. I grandi studi poi hanno un'evoluzione tale per cui molto spesso il leader perde di vista l'obiettivo iniziale, sono pochissimi a fare eccezione. Il caso più lampante è la Hadid dei primi tempi e la Hadid di adesso: ora, in realtà, è Schumacher. Si può invece aderire ad un certo linguaggio, questo si.

 

Quanto c'è di extradisciplinare nella tua architettura?

Sono molto attratto da tutte le arti visive, perché hanno molti punti di connessione con il mio modo di fare architettura. Anche un fotografo che trasforma un paesaggio in geometria o un regista che "segna" uno spazio con un movimento di macchina fanno architettura.

 

C'è un artista, non architetto, col quale ti piacerebbe collaborare?

Sicuramente Maurizio Cattelan: riesce a provocare in maniera diretta senza essere banale.

 

A quali riviste di architettura sei abbonato?

Nessuna. Ed è una cosa di cui mi trovo spesso a discutere. Vedi, noi siamo della generazione della carta stampata, ma la carta stampata in realtà sta morendo. E' solo una questione di anni: cinque, dieci, forse venti. Quando la nostra generazione sarà vecchia ne esisterà una fatta da quelli che chiamo i "nativi del digitale", coloro che cresciuti solamente col computer. Allora la carta stampata sarà una cosa quasi romantica, ma non morirà del tutto solo se le riviste si riorganizzeranno per offrire qualcosa che il digitale non può dare. Anche se non è facile, perché l'informatica ha potenzialità infinite.

 

Qual è il sito web di architettura che frequenti più spesso?

Utilizzo molto le RSS [ sistema di distribuzione dei contenuti web che consente di ricevere aggiornamenti sui siti senza accedervi direttamente, n.d.a.] per cui non ho una preferenza specifica.

 

Un maestro del passato al quale sei più debitore e perché.

Ho avuto la fortuna di avere rapporti di collaborazione con diversi progettisti del panorama architettonico presente e passato, ma rimango debitore soprattutto con mio padre, l'unico che mi ha dato un punto di vista e un approccio all'architettura non convenzionale.

 

Veniamo all'Italia: qual è il principale problema dell'architettura nel nostro paese?

Sono due: burocrazia e mancanza di visione. Ormai l'architettura è affidata a tecnici che fanno solamente i burocrati: è solo una questione di distanze, di rapporti numerici, di quantità, e non c'è una visione, un'idea generale. A volte avere una visione significa anche andare contro le regole, vedi gli sventramenti parigini, oppure l'epoca fascista (infelice per altri versi) in cui perlomeno si scardinavano i vecchi sistemi, anche se in maniera non democratica. Ma almeno era una visione: l'EUR è frutto di una visione chiara dell'architettura. A noi invece adesso questo manca.

 

Ma questo secondo te si supera soltanto con un progresso culturale generale oppure un tentativo di fare una legge sulla qualità dell'Architettura, come in Francia, è una strada che vale la pena di percorrere?

Io credo che le persone vadano educate. E ho la speranza che le nuove generazioni vengano educate in questo senso. Faccio sempre l'esempio del Piano Regolatore di Roma: il P.R.G. di Roma è da una parte la massima espressione della burocrazia, dall'altra anche della perfezione delle leggi perché è contemplato qualsiasi caso. Ma certo non possiamo dire che Roma funzioni o cresca in maniera armonica. Tokyo, che ha dei numeri incommensurabili rispetto persino a Roma, non ha un piano regolatore; e non perché non siano in grado di farlo, ma perché non ne hanno bisogno, culturalmente. Il P.R.G. serve perché c'è una cultura dell'abuso, dell'illegalità. Potrei anche essere il primo a firmare una legge sulla qualità dell'architettura. Però senza un salto culturale temo che diventi l'ennesima norma da bypassare o da piegare agli scopi meno nobili, diventando uno strumento in mano alla "cricca". E in tal caso sarei il primo a criticarla.

 

A proposito di metropoli: la città moderna è notoriamente in crisi. Cosa ne pensi? Che soluzioni proponi?

Partiamo dalla città in cui ci troviamo: Roma, ad esempio, è insolvibile. A meno che non si facciano scelte radicali, persino "folli". Roma è una città in cui la geografia sommata alla storia crea un un rapporto irrisolvibile per la modernità. Ma certamente la crisi non è solo un problema romano, è generale e riguarda la gran parte delle metropoli. Il problema è che le operazioni più interessanti vengono solo dal privato, che, ovviamente, non utilizzerà mai una logica di visione d'insieme. Si va dal particolare verso il generale e spesso lo sviluppo che ne consegue è di corto raggio. Bisogna invertire questa logica perché non sempre è possibile ripetere l'operazione Guggenheim a Bilbao.

 

Che ne pensi dei concorsi nel nostro paese?

Banali esercitazioni per la maggior parte degli architetti, grandi occasioni per le cricche.

 

Come giudichi la qualità della formazione universitaria in Italia?

Poco europea. L'università italiana è fatta per i professori non per gli studenti.

 

Parafrasando Loos: l'architetto è colui che rinnova la vita della gente proponendo nuove idee di spazio o colui che adegua lo spazio ai nuovi stili di vita emergenti?

Definizioni entrambi valide. Alla fine il compito dell'architetto è interpretare le esigenze del cliente, suggerendogli la strada migliore, a volte adattandosi, altre volte proponendo nuove visioni.

 

Descrivi il tuo committente tipo e il tuo committente ideale.

Ognuno ha la propria personalità. L'ideale è un committente di vedute aperte, sempre pronto a sperimentare

 

Ora un esercizio contro l'autoreferenzialità: dammi una breve definizione di architettura ad uso della "casalinga di Voghera".

L'architettura non avrebbe bisogno di questo genere di spiegazioni o, comunque, io credo di non riuscire a darne una di questo genere. Però è un discorso che mi interessa e quando ho questa esigenza l'operazione più banale è proprio quella di rivolgersi direttamente a questo genere di target. Il mio "campione" di riferimento è mia madre alla quale sottopongo il progetto per carpirne le sue reazioni. Devo confessare che spesso faccio questa operazione a progetto terminato, ma conservo gli input che ne scaturiscono per i progetti successivi.

 

Qual'è l'edificio che avresti voluto progettare?

La "casa sulla cascata" di Lloyd Wright.

 

Il nome di un tuo collega emergente che farà sicuramente strada.

Junseung Woo, un caro collega di origine coreana conosciuto durante la collaborazione con lo studio Fuksas.

 

Infine uno sguardo al futuro: come sarà secondo te l'architettura fra cinquant'anni?

Sarà interessante osservare l'approccio progettuale dei nativi dell'informatica. Siamo in una fase ibrida. Nel senso che la nostra generazione, quelli nati negli anni '70, è entrata all'università utilizzando certi strumenti e ne è uscita usandone altri. Ma non perché questo fosse il percorso previsto, ma perché nel frattempo gli strumenti sono radicalmente cambiati. Molti di noi per questo motivo spesso utilizzano il computer con le vecchie logiche, sfruttandone solo le caratteristiche più superficiali. Sarà quindi interessante vedere all'opera la generazione di coloro che non hanno conosciuto il tavolo da disegno. Quello sarà il momento che farà da spartiacque tra la nuova e la vecchia architettura.

 

 

Home/Unusual Store, Venafro, Italia, 2011

 

 

 

Neviera, Rotello, Italia

 

 

 

Romainmotier, Svizzera

 

 

 

 Lichen/Biomonitoring System, Oslo, Norvegia, 2011