Oltre l ‘orizzonte del mare di Genova
Oltre l ‘orizzonte del mare di Genova
Autore: redazione
pubblicato il 3 Marzo 2011
nella categoria BAR SPORT di Mauro Andreini, Parole
di Mauro Andreini
Non perdete il vostro tempo a stringere relazioni mondane o politiche. Vedrete molti vostri colleghi giungere agli onori e alla ricchezza grazie agli intrighi: costoro non sono veri artisti. Alcuni di loro sono peraltro assai intelligenti, e se inizierete a combatterli sul loro campo perdereste tanto tempo quanto ne perdono loro stessi, vale a dire l’intera vostra esistenza:e non vi resterà più un minuto per essere artisti. A. Rodin
Firenze1982
Erano i tempi della noiosissima urbanistica delle campiture colorate sulle città, i tempi della scomposizione e delle sette invarianti, che più di una volta mi avevano fatto maledire la scelta di questa strada. Ma soprattutto erano i tempi euforici del disegno come esplorazione dell’idea, del ricercare disegnando, del disegno visionario come premessa di qualsiasi progetto. Peccato che quest'idea del disegno a Firenze nessuno l'avesse e perciò nessuno la insegnasse. Temevano, credo, che gli studenti si facessero prendere la mano dall’onirico tralasciando statica e tecnologia. Così preferivano insegnare la statica e la tecnologia tralasciando l’onirico. In entrambi i casi l’architettura nasceva zoppa: o una casa senz’idea o un’idea senza casa. Della progettazione di Tendenza poi nemmeno l'ombra, solo a parlarne saresti stato preso di mira e bacchettato all'esame. E pensare che da tutto il mondo, allora, contrariamente a oggi, guardavano con interesse all’architettura italiana.
Stando così le cose non rimanevano che gli scaffali delle librerie, l'ultima spiaggia per essere moderni, per trovare dei maestri. Per tanti di noi erano le librerie la vera sede universitaria, i maestri stavano lontano, sulle pagine di carta. Insomma mi barcamenavo nel sopperire alla mancanza di quelli reali. Ancor oggi mi chiedo se avrò sopperito, chissà, ma poco importa.
Così da giovane studentello, tra le rare lezioni che andavo a seguire - oltre a quelle frequentate da belle figliole e quelle di Giovanni Klaus Koenig- e in attesa delle serate mondane al Salt Peanuts in S. Maria Novella o in qualche casa studentesca, ammazzavo il tempo nella mitica libreria LEF, anch'essa di recente perìta per far posto alle più stimolanti lingeries.
Che emozione i colori lucidi delle copertine, le immagini a tutta pagina di progetti mai visti, le figure nuove di un nuovo linguaggio. Libri da sfogliare per tornare a capo chino verso casa. Libri da comprare e a cui affidarsi. Pubblicazioni che venivano da Milano, Venezia, Roma a rimarcare la marcia in folle dell’ambiente accademico fiorentino rimasto ancora ai ricordi di Michelucci, o al post-organicismo di Ricci, di Savioli e compagnìa di merende. Un libro su tutti in quell'anno del mondiale: “Vivere Architettando (giovani architetti italiani formati nell'ultimo decennio)”. Una raccolta di disegnatori architetti italiani, di quelli che sognano con la mente e disegnano con la mano. De Lucchi, Santachiara, Minardi, Braghieri, Passi, e altri ancora che invece hanno fatto perdere le loro tracce. Di Rossi, Scolari, Canella, Cantafora, poi, sapevamo già tutto. Un libro da comprare assolutamente.
Una raccolta che sarebbe impensabile ai giorni nostri. Oggi sarebbe forse fatta di renderisti, di quelli che disegnano col mouse, di quelli più interessati alla visibilità, all’autocelebrazione, alla costruzione della loro autobiografia, ancor prima che alla costruzione della loro competenza. Quelli dei famosi cinque minuti di Andy Warhol. D’altra parte la “civiltà del successo” o dell’apparire ci riempie di mezzecalze che fatta una minima stronzata sentono subito l’esigenza corporale di pubblicarla.
Allora non era così, allora i giovani artisti avevano una maledetta voglia di esserci. Allora lo scopo non era il successo, lo scopo era l’espressione artistica e la sua ricerca.
A pagina centoventi di Vivere Architettando incontrai per la prima volta Brunetto De Batté con Giovanna Santinolli in fotoritratti pietrificati. Dalla biografia anche loro laureati a Firenze e chissà se, come me, in un disgraziato percorso anarchico e autodidattico. Laboratorio DS, opere a quattro mani, e tra un’opera e l’altra magari anche qualche momento d’intimità, chissà. E’ difficile, pensavo allora (ora non più), lavorare con una donna senza che la secrezione ormonale non ti lanci ogni tanto qualche segnale. A me capitava quasi sistematicamente con le compagne di gruppo, e quasi sempre sistematicamente senza esito.
Sarà stato per il nome, per il cognome, per le strane foto, per i disegni o per tutto questo messo assieme che non mi sarei più dimenticato di De Batté, così da ritenerlo uno degli artefici alla mia iniziazione verso il disegno.
Spero che ora questa responsabilità non gli pesi sulla coscienza.
Firenze2002
A distanza di vent’anni, e tutti noi ormai trapassati per necessità al web, lo rincontro per caso in una serie di suoi scritti sull'architettura contemporanea. Scopro con meraviglia che Brunetto De Batté non è solo un archi-pittore visionario, è anche un singolare narratore, uno scrittore e un descrittore.
Non appartiene, però, alla folta schiera dei critici d’architettura che fanno della prosopopea il loro cavallo di battaglia, parole, parole, parole in edotti soliloqui che alla fine della lettura, a prenderli sul serio, avrebbero messo in crisi anche Italo Calvino.
Brunetto De Batté scava nell’animo dell’opera, i suoi testi poetici si legano in simbiosi a ciò che descrivono. Lui prende un’opera per tradurla in parole poetiche, semplici, comprensibili.
Descrive quello che va oltre il reale, oltre l’aspetto visibile, oltre l’evidenza di una qualsiasi opera d’arte. Dipinge a parole situazioni, ambienti, storie, idee, memorie, dettagli. Delle mie architetture poi, ammetto di aver saputo più cose da lui che da me stesso.
Ma soprattutto è rimasto quel grande disegnatore di luoghi immaginari che avevo conosciuto. E’ rimasto fedele alla linea, alla mano, sarebbe meglio dire. Di fronte ai suoi innumerevoli disegni a molti di noi verrebbe da chiudere il foglio, buttare via penna e pennello e cercare altro mestiere.
Ha delle capacità tecnico disegnative ed immaginative fuori dal comune, è un “mostro” della mano libera. Maneggia la prospettiva meglio del 3DStudio.
Mi fermo qui per non far trasparire un’invidia evidente.
Nonostante queste grandi capacità, però, non ha mai venduto l’anima a qualche parrocchia di pensiero o di appartenenza, tantomeno alla fama o al successo a tutti i costi. Da vero artista.
Se fosse un animale non sarebbe di certo un pavone, ce ne sono già troppi. Più probabile invece un pipistrello, mammifero per gli uccelli e uccello per i mammiferi. Sganciato da ogni genere e razza. Semplicemente artista libero di volare dove lo porta l’ispirazione, senza fili che ne limitino il volo. E da artista vive lontano dal clamore dell’apparire ( e lui sì che ne avrebbe di numeri da mostrare ).
Crea in silenzio in un mondo che urla, da vero sognatore, con lo sguardo verso sud, verso l’orizzonte del suo mare di Genova.
Se dovessi accostarlo a qualche predecessore o coevo non avrei dubbi: una riuscita originale sintesi tra i contemporanei Luigi Serafini e Massimo Scolari, e gli “anonimi” medievali con in più di loro una visione architettonica decisamente concretizzabile.
Infiniti disegni ordinati maniacalmente in infiniti quaderni, dove ognuno di essi conserva un proprio singolare senso. Schizzi, disegni, pitture (come chiamarli?) di luoghi reinterpretati e di luoghi inventati, sui quali si innestano e si alternano architetture giocose mai staccate da un’ipotetica possibilità realistica e tutte dense di memorie.
Morfologie, pezzi di città che messi insieme fanno la Città: la sua città ideale.
Descritta in abachi di varianti sul tema, dove ognuna di queste idee potrebbe essere un progetto. Qualcuna di esse addirittura se messa in mano a qualche famelico del rendering vincerebbe concorsi a man bassa.
Ma forse a Brunetto De Batté questo non interessa, forse si “accontenta” di disegnare e di far sognare: di “di-sognare”.
Da vero Maestro. Forse l’ultimo maestro di quei formidabili anni ‘80.
Mauro Andreini